A confermarlo non sarebbero solo sospetti, ma indagini ambientali ufficiali condotte nel primo semestre del 2024 da Acea Infrastrutture, la stessa società coinvolta nella realizzazione dell’impianto.

Le analisi – spiegano i Comitati contro l’Inceneritore in una nota stampa ufficiale giunta in redazione – avrebbero rilevato “molteplici superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione”, delineando un quadro tutt’altro che compatibile con un’area destinata a ospitare un impianto di tali dimensioni.
Il terreno, di proprietà di Ama e acquistato per 7,5 milioni di euro, risulta peraltro già al centro di indagini della Procura di Roma e della Corte dei conti.
Inceneritore di Roma, il Comune doveva bloccare l’iter
Ma la polemica non si ferma ai dati ambientali.
Gli attivisti denunciano un aspetto ancor più grave: secondo loro, non sarebbero state avviate le procedure obbligatorie di prevenzione e messa in sicurezza previste dall’articolo 242 del Codice dell’Ambiente.
In altre parole, nonostante la presenza di contaminanti, il Comune di Roma avrebbe proseguito l’iter di approvazione del progetto senza prima verificare la reale estensione e la profondità dell’inquinamento.
“È stato ignorato – si legge nel comunicato – il principio di precauzione di derivazione europea, che avrebbe imposto di sospendere l’iter e indagare a fondo l’origine e l’entità della contaminazione.”
Un’accusa pesante che, se confermata, rischia di riaprire un fronte legale e politico già molto teso attorno al progetto simbolo del nuovo ciclo dei rifiuti della Capitale.
Una richiesta di stop immediato dell’iter
Alla luce di queste rivelazioni, l’Unione dei Comitati ha presentato osservazioni formali alla Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) e ha chiesto la sospensione immediata sia della VIA che del PAUR (Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale), fino al completamento delle procedure di caratterizzazione del sito.
L’obiettivo è chiaro: evitare che vengano compiuti atti irreversibili su un terreno potenzialmente compromesso, con il rischio di dover sostenere in futuro costi di bonifica enormi, a carico della collettività.
Nel documento inviato agli enti competenti, i Comitati chiedono inoltre un intervento in autotutela per fermare temporaneamente il procedimento amministrativo, in attesa di una piena chiarezza sulle condizioni del suolo.
“Procedere oggi – avvertono – significherebbe aggravare il danno erariale e compromettere ulteriormente la salute pubblica e ambientale.”
L’acqua che non c’è: il nuovo alt della Regione Lazio
A complicare ulteriormente la sorte del progetto, nei giorni scorsi è arrivata un’altra decisione destinata a far discutere.
Con la determinazione n. G13304 del 14 ottobre 2025, la Regione Lazio ha infatti revocato il parere positivo rilasciato a settembre sui consumi idrici dell’impianto.
Leggi anche: STOP all’Inceneritore di Roma: la Regione Lazio dichiara i consumi idrici dell’impianto non sostenibili
La motivazione è netta: i prelievi previsti da Acea per il raffreddamento del termovalorizzatore non sono compatibili con lo stato idrogeologico dell’area.
Una marcia indietro clamorosa che, di fatto, blocca la costruzione dell’impianto, almeno temporaneamente.
L’acqua che avrebbe dovuto alimentare il “mostro brucia-rifiuti”, come lo chiamano i residenti, sarebbe infatti la stessa della falda dei Castelli Romani, già in crisi cronica e sottoposta a restrizioni idriche da anni.
Il peso delle denunce locali
Determinante per questo cambio di rotta sarebbe stato l’intervento del consigliere comunale di Albano, Marco Moresco, accompagnato dal tecnico Giacinto Persichilli, che il 9 ottobre hanno presentato all’assessorato all’Ambiente della Regione Lazio un dossier dettagliato sulla crisi idrica dei Castelli Romani.
Nel documento, i due hanno illustrato dati e ordinanze che attestano una situazione di emergenza strutturale: pozzi a secco, livelli del Lago Albano in caduta libera, e una rete idrica ormai sotto stress continuo.
“Non si può chiedere ancora acqua a un territorio già stremato da quindici anni di emergenza”, ha spiegato Moresco, ricordando che Acea stessa è impegnata in piani di turnazione idrica per garantire ai cittadini un minimo approvvigionamento quotidiano.
Il paradosso romano: rifiuti e risorse al collasso
La vicenda del termovalorizzatore di Santa Palomba appare oggi come un paradosso emblematico della gestione ambientale capitolina.
Da un lato, la Capitale cerca disperatamente una soluzione strutturale al problema dei rifiuti (anche se l’attivazione di un enorme inceneritore non risolverebbe i problemi di Roma); dall’altro, rischia di compromettere irrimediabilmente un territorio già fragile, minacciato da inquinamento e scarsità idrica.
La combinazione di un terreno contaminato e una falda esausta delinea un quadro critico, che impone una riflessione più ampia: fino a che punto si può spingere la “transizione ecologica” se a pagare il prezzo sono la salute dei cittadini e le risorse naturali?
Le voci dal territorio
Solo in coda, le parole dei Comitati: “Non siamo contro la tecnologia o contro Roma – precisano – ma contro un modello di sviluppo miope, che ignora i limiti ambientali del territorio. Chiediamo trasparenza, rispetto delle regole e la certezza che ogni intervento parta da un terreno sicuro, non da un suolo contaminato.”
Una posizione che, al netto delle polemiche, richiama il principio più elementare di ogni politica pubblica: prima la tutela della salute e dell’ambiente, poi le grandi opere.






















