È stato infatti autorizzato, con la formula del “silenzio-assenso”, un nuovo intervento di taglio ceduo in località Molara, nel territorio di Rocca di Papa. Un’operazione di “diradamento selettivo” che riguarda un bosco di castagno di circa 17 anni, suddiviso in più lotti, di cui due – i cosiddetti Lotto 3 e Lotto 4 – saranno oggetto di utilizzazione immediata.
Il progetto prevede l’eliminazione delle piante “ammalate o deperenti”, ma la superficie totale interessata al taglio è tutt’altro che marginale: oltre 14 ettari netti su ul lotto che misura complessivamente 46 ettari di terreno.
Il tutto in un’area che ricade nel perimetro del Parco Regionale dei Castelli Romani, una delle zone naturalistiche più pregiate del Lazio.
Il via libera senza voce: quando il silenzio diventa autorizzazione
Il provvedimento è stato formalmente chiuso da Comune di Rocca di papa e Ente Parco in base al meccanismo del “silenzio-assenso”, previsto dalla legge per snellire le procedure amministrative. In sostanza, se entro 60 giorni non arriva un diniego espresso, la richiesta si intende accettata. Così, in assenza di ostacoli formali, il procedimento si è concluso con esito positivo, permettendo l’avvio delle operazioni di taglio.
Questo strumento, pensato per semplificare la burocrazia, finisce però spesso per favorire una gestione silenziosa di interventi che incidono profondamente sul paesaggio.
Il rischio, come denunciano da tempo associazioni e cittadini, è che la tutela del patrimonio boschivo diventi una mera formalità amministrativa, delegata ai tempi della carta più che alla sostanza della salvaguardia ambientale.
Il bosco ceduo: una ‘tradizione’ che divide
Il taglio “a ceduo” – ovvero il prelievo periodico di ceppaie da cui ricrescono nuovi polloni – è una pratica antica, utile per il rinnovamento del bosco e la produzione di legname. Ma quando viene estesa su superfici ampie e ripetuta in tempi troppo ravvicinati, può compromettere l’equilibrio ecologico dei versanti.
Il meccanismo del silenzio-assenzo garantisce i cittadini che questa eventualità è stata vagliata?
Negli ultimi anni, i Castelli Romani sono stati teatro di una vera e propria moltiplicazione di interventi forestali. Molti di essi risultano formalmente in regola, corredati da relazioni tecniche e nulla osta del Parco, ma nella sostanza comportano la scomparsa temporanea di intere colline verdi.
Le fotografie aeree mostrano spazi nudi e feriti, laddove un tempo si stendevano castagneti secolari.
La Molara: un microcosmo tra natura e rischio idrogeologico
L’area della Molara è conosciuta per la sua particolare morfologia: crinali stretti, sorgenti e valloncelli che confluiscono nel bacino del Lago Albano. Nella relazione tecnica allegata al progetto si legge che il suolo “non presenta fenomeni franosi attivi” e che il taglio non comporterà sradicamenti, lasciando intatti gli apparati radicali.
Tuttavia, gli esperti sanno che ogni diradamento massiccio modifica il microclima locale e riduce la capacità del terreno di trattenere umidità. La scomparsa del soprassuolo, anche se temporanea, espone i versanti a un maggiore rischio di erosione e agli effetti del vento e delle piogge torrenziali.
La manutenzione e la sorveglianza, dunque, dovranno essere costanti, come previsto dalle prescrizioni tecniche.
Tra sostenibilità e affari: il confine sottile del legname dei Castelli
Negli ultimi mesi, i boschi dei Castelli Romani sono diventati una fonte crescente di approvvigionamento per il mercato del legname. A Rocca di Papa, come in altri comuni limitrofi, si sono già avviate aste pubbliche per la vendita di lotti forestali certificati. Un’economia “verde”, almeno nelle intenzioni, che promette entrate immediate per le amministrazioni e le imprese boschive.
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Altri 14 ettari presto spariranno in zona Pratoni del Vivaro. Inoltre ci sono gli oltre 70 ettari, che come ogni anno il Comune di Rocca di papa mette all’asta con incanto pubblico.
Sommando le tre operazioni di cui recentemente siamo venuti a conoscenza, al momento, spariranno circa 100 ettari di alberi e boschi.
Ma la gestione sostenibile non può ridursi alla sola regolarità formale dei documenti. Serve una visione d’insieme, capace di bilanciare la necessità di produrre con quella di preservare.
Ogni ettaro tagliato – anche quando si parla di semplice diradamento – rappresenta una perdita temporanea di ombra, ossigeno, biodiversità e protezione idrogeologica.
Il contesto più ampio: i Castelli come set di una storia che si ripete
Come in un film che torna ciclicamente sugli stessi luoghi, la scena si ripete: camion, motoseghe, tronchi allineati lungo i sentieri.
Nei Castelli Romani, i tagli cedui si moltiplicano di anno in anno. Le superfici boschive vengono ruotate, rinnovate, ripiantate. Ma il ritmo delle autorizzazioni – spesso affidate al silenzio-assenso – solleva dubbi legittimi sulla capacità delle istituzioni di monitorare davvero l’impatto cumulativo di questi interventi.
Il caso della Molara è solo l’ultimo tassello di un mosaico complesso. Il taglio dei boschi, quando programmato e controllato, può essere una risorsa. Ma quando procede in silenzio, rischia di diventare una sottrazione silenziosa di patrimonio naturale.
Occorre una riflessione seria sul modello di gestione forestale nei Castelli Romani, dove la ricchezza del paesaggio coincide con l’identità stessa del territorio. Perché ogni albero abbattuto non è solo legno da ardere o vendere: è un frammento di storia, un argine contro il dissesto, un alleato silenzioso nella battaglia contro il cambiamento climatico.
In un’epoca in cui il verde diventa sempre più raro, la vera sfida non è tagliare, ma custodire. E farlo con trasparenza, senza lasciare che a decidere il destino dei boschi sia, ancora una volta, il silenzio.
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