Con un’ordinanza del 27 ottobre 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha riaperto ufficialmente la partita, prorogando fino al 30 giugno 2026 il mandato del Commissario ad acta incaricato di completare le operazioni per l’adozione del Programma Urbanistico “Ardeatina”.
Dietro la decisione si nasconde un capitolo poco conosciuto della storia urbanistica di Roma: il tentativo, partito oltre quindici anni fa, di trasformare un ex sito Rai in un nuovo nuovo quartiere di Roma.

Un’eredità degli anni Duemila
Il caso affonda le radici nel 2006 (sindaco Valter Veltroni), quando la società E.Gen.Co. — già titolare di diritti edificatori compensativi — stipulò con Roma un atto di transazione per individuare nuove aree dove costruire.
La località prescelta fu proprio via Ardeatina, in un terreno allora sottoposto a vincoli di inedificabilità imposti nel 1949 per la presenza del centro trasmittente Rai.
Nel 2011, la stessa Rai e la controllata Rai Way — in un documento ufficiale indirizzato al Dipartimento Urbanistica di Roma Capitale — avevano riconosciuto l’esistenza di quei vincoli, ma anche la volontà di riconvertire i vecchi impianti per destinarli ad altri usi, come l’housing sociale.
Il passaggio dal servizio pubblico radiotelevisivo alla possibilità di edificare, tuttavia, ha generato un lungo contenzioso amministrativo.
La prima svolta del 2018: Roma Capitale? Inerte
Nel 2018 (sindaca Raggi), dopo anni di attesa, le società proponenti ricorsero al TAR del Lazio per denunciare il silenzio-rifiuto di Roma Capitale, accusata di non aver dato risposta all’istanza di approvazione del programma urbanistico.
Con la sentenza n. 10389/2018, il Tribunale diede loro ragione, dichiarando illegittima l’inerzia dell’amministrazione comunale e ordinando di concludere il procedimento entro 180 giorni.
Fu il primo segnale di una possibile riapertura della trattativa urbanistica.
Roma venne di fatto obbligata a esprimersi, ma la complessità dei vincoli e la necessità di coordinarsi con la Regione Lazio e con la Rai resero il percorso tortuoso. L’anno successivo, nel 2019, il Tar nominò un Commissario ad acta per supplire alla persistente inadempienza del Campidoglio.
Proroghe, rinvii e un accordo in vista
Dal 2019 a oggi, il Commissario — il professor Francesco Ciardini, docente di urbanistica alla Sapienza — ha ricevuto una serie di proroghe. L’ultima, con ordinanza del 2024, fissava il termine per la conclusione dei lavori al 30 giugno 2025.
Ma la scadenza è stata nuovamente rinviata: l’ordinanza del 27 ottobre 2025, firmata dal giudice Giuseppe Licheri, concede un altro anno di tempo, motivando la decisione con la “complessità degli adempimenti ancora richiesti” per la stipula dell’Accordo di Programma tra Comune di Roma e Regione Lazio.
Un atto preliminare, definito “propedeutico alla convenzione urbanistica”, è già stato firmato a settembre 2025 e trascritto nei registri immobiliari: un segnale che la macchina amministrativa si è rimessa in moto.
Il nodo dei vincoli e la memoria della Rai
Il punto più controverso resta però la validità dei vincoli di inedificabilità. Nel documento del 2011, la Rai e Rai Way avevano ricordato come il decreto ministeriale del 1949 imponesse il divieto assoluto di costruire su circa 110 ettari attorno all’impianto, e un vincolo parziale su altri 80 ettari.
Solo il Ministero delle Comunicazioni, si leggeva, avrebbe potuto revocare quei vincoli, e solo “alla cessazione definitiva dell’attività trasmissiva”.
Se da un lato la Rai ha effettivamente dismesso le antenne di Prato Smeraldo, dall’altro non risulta ancora completata la procedura ministeriale di rimozione dei vincoli.
La questione potrebbe dunque tornare sul tavolo del TAR, o diventare materia di un nuovo scontro politico sulla gestione delle aree pubbliche dismesse.
Un test per la trasparenza urbanistica di Roma
Il caso “Ardeatina” si inserisce nel più ampio dibattito sulle aree ex Rai e statali dismesse nella periferia sud di Roma, da Santa Palomba a Tor Pagnotta.
Si tratta di zone strategiche, oggi al centro dell’interesse dei costruttori e della pressione abitativa della Capitale.
Ma la vicenda giudiziaria mette in luce un problema strutturale: i tempi infiniti dell’amministrazione, la scarsa chiarezza sui vincoli e il rischio che decisioni rilevanti per l’assetto del territorio vengano prese nelle aule dei tribunali e non nei consigli comunali.
Con la proroga concessa dal TAR, la città ha un altro anno per decidere se e come trasformare un pezzo di patrimonio pubblico in quartiere privato.
La posta in gioco è alta: non solo urbanistica, ma trasparenza, legalità e visione di sviluppo per la Roma del futuro.























