In pratica il serbatoio porterà meno interruzioni o cali di pressione. Ma nella realtà potrebbe addirittura peggiorare la crisi idrica in atto nelle falde dei Castelli Romani.
Il nuovo serbatoio Acea di Frascati
Il “Bunker” — questo il nome scelto per la nuova infrastruttura — è costato oltre 3 milioni di euro, finanziati da Acea Ato2.
Due vasche seminterrate, capacità complessiva di 2.800 metri cubi, circa il 40% in più rispetto al vecchio impianto demolito nel 2020.
L’obiettivo dichiarato: migliorare la “resilienza” della rete idrica cittadina, garantendo continuità nei periodi di forte consumo e d’estate e riducendo perdite e guasti.

Ma dietro le dichiarazioni istituzionali si intravede il tentativo, piuttosto evidente, di recuperare consenso dopo una serie di ritardi e scivoloni amministrativi: crisi idrica estiva, polemiche sui cantieri infiniti e la gestione traballante dei rapporti con Acea.
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Il serbatoio è, in sostanza, un’infrastruttura utile — ma presentata come la panacea di un problema che invece resta almeno in parte intatto: Frascati continua a succhiare acqua anche dal lago Albano, il bacino che si sta prosciugando sotto gli occhi di tutti.
In sostanza, l’acqua che alimenta il bunker è sempre la stessa di ieri e la falda si abbassa sempre di più, forse le opere di cui ci si dovrebbe “vantare” sarebbero altre, legate al recupero delle acque reflue e soprattutto di quelle meteoriche, oltre ad una gestione migliore di quelle superficiali, ma su queste cose ai Castelli Romani e nel Lazio siamo indietro anni luce.
Il lago che si svuota e il silenzio delle istituzioni
Il livello del lago Albano, del resto, è sceso di oltre un metro e quindici centimetri in appena due anni. Un dato drammatico, certificato dall’Autorità di Bacino.

Eppure, mentre il bacino arretra e le sponde si allungano, i pozzi di Sforza Cesarini, situati sulle sponde del lago Albano, continuano a pompare acqua H-24 giorno e notte, 365 giorni l’anno, per servire undici comuni, tra cui proprio Frascati, oltre a: Albano Laziale, Ariccia, Castel Gandolfo, Colonna, Monte Compatri, Monte Porzio Catone, Palestrina, Rocca Priora, Zagarolo e, più di recente, Rocca di Papa.
Un sistema di captazione che nessuno controlla davvero, su cui pende una interrogazione del sentatore Marco SIlvestroni, senza limiti trasparenti di portata e senza piani di compensazione ambientale. Ad agosto, il Comune di Castel Gandolfo aveva chiesto lo stop ai prelievi H24.
Risultato: silenzio assoluto.
Nel frattempo, alla Regione Lazio si è tenuto nei giorni scorsi un vertice “a porte chiuse” sul lago, ma da quell’incontro non è trapelato nulla. Né una nota ufficiale, né un impegno concreto.
L’impressione, insomma, è che il serbatoio migliora la distribuzione locale, ma la fonte principale resta la stessa: il lago Albano, un bacino sempre più esausto e silenziosamente prosciugato.
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