L’associazione per delinquere capeggiata da Costantino Cha Cha Di Silvio, al centro dell’inchiesta “Don’t touch”, non sarebbe stata costituita di recente a Latina, magari dopo che parte dei Di Silvio e i Ciarelli – famiglie di origine rom stabilitesi nel capoluogo pontino – erano stati messi fuori gioco dal processo “Caronte”, ma opererebbe in città da ben dodici anni. A sostenerlo è il Tribunale di Latina, nelle motivazioni della sentenza emessa a giugno, nel processo principale, che ha portato a nove condanne, per un totale di quarantuno anni e mezzo di carcere e a tre assoluzioni. Un’organizzazione criminale impegnata in vari fronti, dall’usura alle estorsioni, fino all’intestazione fittizia di beni e allo spaccio di droga, illustrata dal presidente Pierfrancesco De Angelis in 111 pagine di motivazioni appunto.
Il Tribunale di Latina ha condannato Costantino Cha Cha Di Silvio, ritenuto il capo dell’associazione per delinquere, definito “un soggetto molto pericoloso”, a 11 anni di reclusione, Gianluca Tuma, definito “soggetto pericoloso per il mondo economico e imprenditoriale della città di Latina”, a 3 anni e 4 mesi, Angelo Morelli, uno dei “soldati”, a 5 anni, Davide Giordani, coinvolto nello spaccio, a 6 anni, l’ultrà Favio Alejandro Bortolin, accusato di aver fatto entrare la cocaina nella tifoseria del Latina Calcio, a 2 anni e 2 mesi, Riccardo Pasini, l’uomo che avrebbe ricevuto da un poliziotto soffiate sulle indagini, a 2 anni e mezzo, a 2 anni e mezzo il carabiniere di Aprilia, Fabio Di Lorenzo, considerato una delle talpe, che si sarebbe venduto in cambio di soldi e droga, e a quattro anni e mezzo Ionut Necula e Alexander Prendi, che avrebbero commesso una serie di furti in villa a Latina e dintorni. Assolti invece Adrian George Costache, Fabrizio Marchetto e Dario Gabrielli.
L’istruttoria, secondo il Tribunale, ha consentito di “evidenziare l’operatività in Latina e nel territorio pontino di un sodalizio criminoso volto alla commissione di una serie indeterminata di reati di varia natura, fondato principalmente, ma non esclusivamente, su vincoli di carattere familiare”. Ritenute infine provate anche le estorsioni ai negozi di griffe del centro Mancinelli e Fanella, dove Cha Cha e i suoi facevano shopping gratis o quasi. “L’istruttoria – ha specificato il presidente De Angelis nelle motivazioni della sentenza – ha consentito di accertare senza alcun dubbio che i Fanella e i Mancinelli, per paura di ritorsioni contro la loro persona o le loro attività, hanno consegnato in più di una occasione, a Di Silvio Costantino e a terzi da lui indicati diversi capi di abbigliamento anche di valore senza chiedere il pagamento del prezzo dovuto. Non vi è dubbio che i Fanella e i Mancinelli temevano la forza criminale del Di Silvio e del suo gruppo tanto è vero che, nonostante fossero ormai anni che erano costretti a subire le “spese” sue e dei suoi accoliti, non avevano mai trovato il coraggio di denunciarli e soltanto l’intervento autonomo della Polizia li ha poi indotti finalmente a raccontare quanto stavano subendo”.