«Senza la conoscenza della verità non si può rifondare questo Paese»: è questo il messaggio che il giudice Ferdinando Imposimato ha voluto lanciare agli studenti del Majorana lo scorso 6 novembre, in un’aula magna gremita di giovani visibilmente incantati dalle parole del magistrato italiano. Ospite del progetto “Lettura” curato da alcune docenti del liceo scientifico di Latina, Imposimato ha incontrato i ragazzi della scuola di via Sezze per raccontare loro la sua verità sul sequestro Moro, la stessa che ha messo nero su bianco nel libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”.
Un libro su un caso mai chiuso, il rapimento e l’uccisione di Moro per mano delle Brigate Rosse. Un volume nato dalla penna di chi ha seguito da vicino quel caso e condotto l’inchiesta ad esso relativa. Un documento per dare finalmente nome e cognome alla verità, dice lui. «Non sono uno scrittore, ma un modesto ricercatore di verità – ha spiegato ai ragazzi che gli hanno chiesto il perché di un libro così forte –. Sono uno che segue l’insegnamento di Cicerone e che, pur non conoscendolo personalmente, ha avuto in Moro un maestro e una guida. Una Repubblica fondata sulla menzogna non può esistere. La verità la devo, anzi la dobbiamo ai cinque uomini della scorta trucidati e naturalmente a Moro.
E la dobbiamo a voi giovani, affinché non ripetiate gli errori del passato e perché voi nella vostra vita dovete essere i portatori dei valori della Costituzione». Imposimato ha lasciato i suoi giovani ascoltatori col fiato sospeso per due ore di fila e rispondendo alle loro domande serrate ha ricostruito i 55 giorni di prigionia di Moro e tutto quello che ne è seguito negli anni a venire, nel tentativo di dare risposte diverse da quelle fornite da una versione ufficiale dei fatti molto lontana dalla realtà effettiva. Atti alla mano, il giudice ha dimostrato nel suo libro e suggerito anche ai ragazzi che ad uccidere lo statista italiano è stata la “Ragion di Stato”, che l’omicidio poteva essere evitato, che il politico democristiano è stato lasciato morire perché personaggio scomodo, che il suo assassinio altro non è che l’ennesimo “delitto italiano” consumato dalle Br col beneplacito del gotha politico.