Un cittadino di Pomezia potrà disperdere le ceneri del papà, morto nel 2002, nonostante il divieto imposto dal Comune di Pomezia.
Il Tar di Roma ha accolto il ricorso di Claudio C., che a gennaio di quest’anno aveva presentato la richiesta al Comune di Pomezia per la dispersione delle ceneri del padre Giovanni, compilando il modulo che gli era stato consegnato dagli uffici comunali. Il No del Comune era motivato con il fatto che il regolamento approvato nel 2011 vietava espressamente questa pratica: il fatto che sul modulo vi fosse indicata anche questa possibilità era da considerarsi un mero errore.
Il regolamento del 2011 stabilisce che l’autorizzazione alla dispersione delle ceneri avviene solo se è accertata la volontà del defunto, attraverso un testamento o con una deposizione scritta e depositata presso un notaio, escludendo che la volontà del defunto possa essere manifestata dal parente più prossimo. In mancanza di una dichiarazione scritta del signor Giovanni, il Comune di Pomezia, in rigida applicazione del regolamento, aveva rigettato la domanda del ricorrente.
Il Tribunale Amministrativo riconosce che sia la normativa statale (legge 130/2001) sia quella regionale (legge regionale 4/2006), prevedono che “la dispersione delle ceneri è consentita nel rispetto della volontà del defunto” e che “l’autorizzazione alla cremazione e alla dispersione delle ceneri è rilasciata dal soggetto competente individuato dalla normativa statale … e secondo le modalità stabilite dalla medesima, con particolare riferimento alla manifestazione di volontà espressa dal defunto o dai suoi familiari”. Insomma, la dispersione delle ceneri non è subordinata esclusivamente alla presentazione di una dichiarazione di volontà manifestata per iscritto da parte del defunto.
Una limitazione, riconosce il Tar, che è “contraria al principio della libertà delle forme ed incidente su un diritto personale”. Peraltro la morte del signor Giovanni è antecedente al regolamento del 2011: gli uffici, secondo il Tar, avrebbero dovuto valutare anche questo.
Risultato: ricorso accolto e Comune condannato a pagare 1.500 euro di spese legali.