La strada per lo smantellamento più o meno definitivo del sito nucleare di Latina è ancora molto lunga ed intricata. Infatti i tempi per arrivare al “brown field” prima e al “green field” dopo (attualmente previsti rispettivamente per il 2023 e per il 2035) sono tutt’altro che certi, anzi. Basti pensare che, nonostante sia stata presentata per la prima volta quasi 10 anni fa, l’apposita autorizzazione del Ministero dello Sviluppo Economico sulla Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) non è stata ancora rilasciata. Manca ancora il necessario previo parere favorevole dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ex APAT e già ANPA). Pur essendo stata presentata per prima, dunque, tra tutte e 4 le centrali nucleari in fase di smantellamento in Italia, quella di Latina è l’unica VIA non ancora autorizzata. Lo stallo è dovuto al fatto che, come più volte spiegato da questo giornale ed ora confermato anche dalla relazione dello stesso Ispra nell’audizione parlamentare del 9 gennaio, la Sogin non sa bene come trattare e soprattutto dove mettere le tonnellate di grafite che fungeva da moderatore nel reattore.
La grafite è un materiale altamente infiammabile (era presente ed aveva la stessa funzione nel reattore di Chernobyl esploso 28 anni fa) ed essendo impregnata di radioattività, necessita di precauzioni impiantistiche ed attrezzature molto particolari per la sua rimozione. Tutte cose che finora non esistono. La Sogin sta pensando a dei robot telecomandati a distanza. Questo tipo di reattori non li ha mai smantellati nessuno sulla Terra. Invece da altre parti hanno deciso di aspettare. Quello di Latina infatti, almeno nella sua versione originaria, è uno degli unici due reattori Magnox al mondo (l’altro si trova in Giappone) fuori dal Regno Unito; il Paese che lo aveva realizzato per fabbricare ordigni nucleari. Questo tipo di reattori inizialmente nacquero per soli scopi militari in quanto permettevano di ottenere tanto plutonio a partire da uranio naturale. La bomba atomica sganciata su Hiroshima era stata ottenuta con uranio arricchito che però è solo lo 0,7 dell’uranio totale. Il plutonio invece è un elemento che si trova raramente in natura, ma essendo anch’esso un materiale altamente fissile (cioè il suo atomo è facilmente scindibile per determinare una reazione nucleare a catena) è stato utilizzato per costruire gran parte delle bombe atomiche che ancora oggi sono sparse per il pianeta. Un potere in mano a poche nazioni e che ancora oggi gestisce i destini geo-politici del mondo intero.
L’inciso è necessario per indicare il fatto che soprattutto nel Regno Unito, cioè proprio dove questo tipo di reattori li hanno concepiti e costruiti, per smantellarli hanno deciso di procedere con le classiche pinze da chirurgo, valutando bene tempi e costi. Rispetto a questi ultimi gli inglesi hanno scoperto che le spese per disattivare i Magnox sono molto più elevate rispetto ad altri tipi di reattori costruiti successivamente (si parla di un fattore 5 a 1), proprio a causa della grafite. Allo stesso tempo i volumi dei rifiuti producibili dal decommissioning sono 10 volte maggiori di quelli relativi, ad esempio, ai reattori moderati ad acqua leggera. Ma sono i loro tempi dello smantellamento a dirci come stanno effettivamente le cose anche qui da noi: il “green field” del primo reattore entrato in funzione in Inghilterra, quello di Calder Hall, è previsto per il 2115; cioè 156 anni dopo la sua entrata in funzione. E trattandosi di prato verde, visto che anche là in definitiva paga lo Stato, è il caso di dire: “Campa cavallo che l’erba cresce”.