Dopo tante battaglie, sta per essere tolto quello che i coltivatori diretti chiamano “segreto di Stato” sui commerci di materie alimentari con l’estero. Un “segreto” che finora ha consentito di spacciare come italiani una enormità di prodotti come Made in Italy sebbene contenenti materie prime straniere. Si calcola che questo taroccamento tollerato, e talora persino agevolato dalle autorità nazionali, riguardi almeno un terzo dei prodotti commercializzati come italiani, all’insaputa dei consumatori e in danno delle nostre aziende (oneste). Un grave colpo ed un tradimento inaccettabile per il nostro “petrolio”, vale a dire l’immenso patrimonio di prodotti tipici enogastronomici unici al mondo. Il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha annunciato di aver accolto la richiesta della Coldiretti, la maggiore associazione agricola italiana, che da anni invoca provvedimenti seri e concreti per superare questa opacità e carenza di informazioni. Ha perciò disposto l’immediata costituzione di un Comitato presso il Ministero stesso, con esperti che dovranno delineare, in tempi brevi, il sistema per rendere disponibili le informazioni sulla provenienza dei prodotti agroalimentari. «Saranno resi pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero per la produzione alimentare», fanno sapere dal Ministero.
«Un passo importante per la tutela dell’agricoltura e del vero Made in Lazio – esulta il direttore della Coldiretti provinciale di Latina Saverio Viola -, che permetterà ai consumatori di poter scegliere un prodotto fatto con materia prima locale da uno fatto con prodotto straniero». Certo anche all’estero fanno tante cose buone, ma il tricolore attira tanto e non è giusto sfruttarlo impropriamente. Perché indurre a credere, ad esempio, che si sta comprando un salume nostrano che invece contiene carne polacca o tedesca? «Finora – ricorda Viola – una complessa normativa doganale ha impedito l’accessibilità dei dati senza significative ragioni legate alla tutela della riservatezza, provocando gravi turbative sul mercato, ansia e preoccupazione dei consumatori, a fronte dell’impossibilità di fare trasparenza sulla provenienza degli alimenti».
Un sistema farraginoso e ambiguo, ai limiti del delinquenziale, che ha generato mostri come il pecorino “romeno”. Ricordate? È il caso vergogna del formaggio venduto come Pecorino Romano, con tanto di marchio Dop sulla buccia nera, fatto però con latte ungherese e romeno in Romania, dalla società statale Simest di proprietà del Ministero dello Sviluppo economico finanziata dal governo italiano.
«Una mancanza di trasparenza – afferma Carlo Crocetti, presidente di Coldiretti Latina – che ha favorito anche il verificarsi di inganni a danno dei prodotti simbolo del Made in Italy». «Abbiamo persino individuato in un porto dell’Adriatico pasta “italiana” di un noto marchio fatta in un altro Paese – racconta Massimo Gargano, presidente del Consorzio di Tutela del vino Castelli Romani Doc e già attivissimo presidente regionale della Coldiretti del Lazio -, o la carne per tortellini straniera e molto altro. Del resto quasi il 40% delle denominazioni di origine nell’Unione Europea – conclude Gargano – sono italiane».
Vale a dire ben 264 specialità, tra Dop (Denominazione di origine protetta), Igp (Indicazione geografica tipica) e Stg (Specilità tradizionale garantita). Le ultime 3 sono arrivate nei mesi scorsi e tra esse c’è anche una bontà laziale, la patata dell’Alto Viterbese.
Alla salute di quelli che volevano invadere l’Europa con la patata transgenica, bocciata dall’Ue, non naturale ma inventata in laboratorio violentando il Dna, e di quelli che spacciano per italiana roba fatta chissà come, da chi e dove!