PRESENTAZIONE E GITA AL SITO PER POCHI INTIMI
Di solito ci vogliono un paio d’anni per approvare i progetti. Il “potabilizzatore” del Tevere se lo sono ideato, progettato e autorizzato in soli 127 giorni e inaugurato da soli. È costato almeno 12,7 milioni di euro. La silenziosa presentazione si è tenuta il 12 dicembre, nel quartier generale Acea in piazzale Ostiense, a Roma. Il giorno dopo gita per pochi intimi all’impianto, in località Grottarossa. Il gestore ha portato i fortunati invitati in via Vitorchiano, su un’ansa del Tevere a Roma nord. All’evento non c’era la Regione Lazio, che pure ha curato buona parte dell’iter con l’ingegner Mauro Lasagna. C’erano invece alcuni esponenti delle Autorità di vari àmbiti idrici di Lazio e Toscana, l’Asl Roma 2, l’Agenzia regionale protezione ambientale del Lazio, la Asl di Milano. Finora nessuna autorità di salute pubblica ha fornito dati precisi, chiari ed esaustivi su come monitoreranno la qualità delle acque del Tevere da far bere alla popolazione. Per gennaio 2019 è attesa l’entrata in funzione.
SOLITA EMERGENZA
L’impianto è spuntato di botto con la scusa dell’emergenza idrica. Invece di abbattere le dispersioni che ancora si attestano intorno al 45%, hanno regalato a Roma e provincia questo progetto che gode di copertura a tutti i livelli. Figura tra quelli che Acea ha invocato come urgenti e da approvare e finanziare in deroga a una sfilza di norme e leggi, compresi il codice dei contratti pubblici e il codice dell’ambiente: cioè senza gara d’appalto pubblica e senza scocciature procedimentali. È il solito copione dell’emergenza portata allo stremo, film già visto sui rifiuti, così da decidere poi a tavolino nelle segrete stanze. L’impianto imposto alla chetichella, tratterà 500 litri di acqua al secondo con 32 filtri a carboni attivi. L’emergenza idrica, sancita con delibera del Consiglio dei Ministri il 7 agosto 2017, doveva durare 180 giorni. È stata poi prorogata il 22 febbraio scorso per altri sei mesi. Tutto è quindi blindato da deroghe con l’imprimatur governativo.
PERCHÉ SI TACE?
Da quando abbiamo scoperto il progetto e lanciato la notizia a luglio scorso, si sono tutti cuciti la bocca. Presso il cantiere non abbiamo trovato l’obbligatorio cartello sui lavori. Nel frattempo è stato arrestato il presidente di Acea, il plenipotenziario pentastellato avvocato Luca Lanzalone mandato dai vertici 5Stelle ad assistere la sindaca Raggi sul pasticcio del nuovo stadio della Roma. Premiato con la poltrona di presidente di Acea e di Vicepresidente di Utilitalia (la lobby dei gestori idrici, energetici e dei rifiuti), nulla ha detto in tale veste alla Commissione Ambiente della Camera dei deputati. Il 1°”ˆagosto scorso lo hanno sentito nel corso della “indagine conoscitiva sull’emergenza idrica e sulle misure necessarie per affrontarla”. Eppure, già era in programma il “potabilizzatore” del Tevere. Lo dice anche un documento dello stesso 1° agosto 2017. Firmato dall’allora capo della Segreteria tecnico operativa dell’Ambito idrico romano, il documento descrive il “potabilizzatore” come “pilastro fondamentali dell’azione necessaria per fronteggiare l’emergenza in atto e altresì per scongiurare future nuove emergenze”. Qualche domanda viene da porsela sui potabilizzatori.
Come rileva un dossier dell’Ispra, il massimo organismo governativo di studio e tutela ambientale, l’ARPA Sicilia nel 2011 monitorò 12 dei 15 potabilizzatori di acque superficiali che servono Palermo e tutti risultarono con contaminanti sopra i valori guida. Ma è nella Capitale che regna lo stile palermitano: nessuno sente, nessuno vede, nessuno parla.
Rischi igienico-sanitari
“Sono vietati gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali utilizzate o destinate ad essere utilizzate per la produzione di acqua potabile […] gli scarichi in essere dovranno essere condottati a valle dell’opera di presa (cosa impossibile nel caso del Tevere, vista la sua lunghezza, ndr)”. Lo dice la Legge regionale n. 42 del 2007. Concetto ribadito anche nel più recente Piano di Tutela delle Acque, approvato con delibera di Giunta regionale n. 819 del 28/12/2016. Inoltre, il decreto legislativo 152 del 1999 impone alle Regioni di classificare i corsi d’acqua in base al loro livello di inquinamento, come requisito per dare quelle acque da bere alla popolazione. Ma le acque del Tevere ancora non sono state classificate dalla Regione Lazio. Perché?
E le analisi? Mutismo sui controlli
Chi controllerà le acque del Tevere “potabilizzate”? Con quale tipo di controlli e con quale frequenza? Saranno pubblicati i risultati? Da mesi poniamo queste domande. Nessuno risponde. «La struttura industriale – dice l’Asl Rm2 – verrà sottoposta a quattro campionature (analisi, ndr) annuali, una per stagione, per garantire che i livelli di inquinanti presenti nell’acqua immessa in conduttura rispettino i limiti massimi ammessi dalla legge». Fabbriche, fogne a moltissimi abusivi scaricano quotidianamente. Chi controlla? Chi garantisce e come garantisce che idrocarburi, microplastiche e metalli pesanti verranno eliminati dall’acqua del fiume che finirà nei rubinetti?
Francesco Buda e Daniele Castri