È quanto spiegano a il Caffè di Roma Rosanna Casella, direttrice della Direzione regionale Inps-Lazio, e Sergio Saltalamacchia, direttore dell’Inps-Direzione Città Metropolitana di Roma (Direzione scorporata da quella regionale a partire da dicembre 2019), che ringraziamo per la sollecitudine e la cortesia con cui hanno aperto le porte al nostro giornale, specie in un momento particolarmente delicato per gli Istituti che dirigono, su cui grava una mole di lavoro decisamente straordinaria, ma permettendo così ai cittadini di farsi un idea basata su dati certi.
I NUMERI NUDI E CRUDI
Questi, quindi, i numeri nudi e crudi relativi alle prime 9 settimane di aiuti ordinari e straordinari varati dal Governo a marzo scorso: Cassa integrazione in deroga, Cassa integrazione ordinaria e Integrazione salariale. Aiuti, questi, da non confondere con quelli relativi al periodo giugno-ottobre, ovvero le ulteriori 5 + 4 settimane di Cassa integrazione in deroga e integrazione salariale varati dal recente Decreto rilancio su cui il Governo preannuncia tempi di pagamento decisamente più brevi, con le aziende che non dovranno più depositare le relative domande alle Regione, ma direttamente all’Inps, che a sua volta dovrà anticipare il 40% della somma dovuta entro i 15 giorni successivi alla richiesta. Ma questa è tutta un’altra storia, torniamo alla situazione attuale, ossia alle prime 9 settimane di aiuti approvati dal Governo Conte bis, quelle del periodo marzo-maggio.
“PAGATE TUTTE LE MENSILITÀ DI MARZO E APRILE”
Rispetto a queste tre tipologie di aiuti di sostegno salariale (Cassa Integrazione in deroga causa Covid, Cassa integrazione ordinaria e Integrazione salariale), l’Inps Lazio sostiene di essere “in assoluta correntezza”, ossia di aver concluso il pagamento delle mensilità richieste dai lavoratori dipendenti, per il tramite delle loro aziende, almeno per quanto riguarda le richieste relative ai mesi di marzo e aprile. La stessa Inps ha pre-annunciato a il Caffè di dover ora, ossia da inizio giugno, cominciare a pagare le mensilità relative al mese di maggio. “Fatto salve – specifica l’Inps – situazioni specifiche che per qualche motivo hanno bisogno di ulteriori approfondimenti” perché, come vedremo tra poco, ci sono stati tra le domande alcuni errori ‘tecnici’ e anche qualche furbetto che ha richiesto all’Inps aiuti a cui non aveva diritto o più aiuti del dovuto.
BONUS PARTITE IVA: RESPINTA 1 DOMANDA SU 4
Oltre alle tre tipologie di sostegno salariale di cui abbiamo appena parlato, il Conte Bis ha varato anche il cosiddetto bonus partite iva, ossia i famosi 600 euro destinati ai liberi professionisti. L’Inps Direzione Città Metropolitana ci ha spiegato di aver già pagato il 74,66% delle richieste ricevute, ossia 201.096 domande sulle 269.325 totali che ha ricevuto, che rappresentano però il totale degli aventi diritto, visto che tutte le altre, ovvero il 25,33%, sono state respinte, poiché avanzate da chi non aveva diritto. L’Inps-Direzione Lazio ci spiega invece che per quanto riguarda le altre quattro province gli sono pervenute 108.000 domande di bonus partite iva, di averne già pagati 83.227, ossia il 77%, aggiungendo che l’Ente sta procedendo “al riesame di quelle posizioni che non è stato possibile accogliere in modalità centralizzata e che richiedono un supplemento istruttorio”. In sintesi, è probabile che anche queste richieste vengano respinte: un dato in linea con il trend della Città Metropolitana di Roma.
“IN 2 MESI, UN CARICO DI LAVORO PARI A 5 ANNI”
Quello che emerge con chiarezza dalle conversazioni con i dirigenti dell’Inps è che non è stato possibile accorciare più di quanto avvenuto i tempi di pagamento. “Del resto, la procedura burocratica (per effettuare i pagamenti, ndr) – ci spiega un dirigente di vertice dell’Inps – è complicata. Procedura che, tra l’altro, fino ad ora abbiamo sempre utilizzato in condizioni di normalità. Ovviamente, tutto è ben diverso in una situazione emergenziale come quella in cui ci troviamo da qualche mese a questa parte. Stiamo facendo uno sforzo enorme. In 2 mesi, abbiamo affrontato il carico di lavoro di 5 anni”.
“NECESSARI I TEMPI TECNICI”
“I dipendenti della Direzione regionale dell’Inps – sottolineano i vertici dell’Ente – hanno fatto e stanno facendo un grandissimo lavoro, ma la mole di informazione da gestire è tanta. I controlli da fare su ogni singola richiesta tantissimi. Quindi degli slittamenti sono inevitabili. In una macchina organizzativa così complessa qualche granello si infila sempre. Ci sono dei tempi tecnici che per questa prima trance di contributi previdenziali non possono essere accorciati, tra l’azienda che ha fatto domanda, la Regione che ha riesaminato e fatto il decreto e poi ci ha trasmesso tutti i dati. Noi abbiamo messo in campo delle task force. Abbiamo compiuto uno sforzo organizzativo incredibile, con tutto il personale in smart working. Quindi, abbiamo dovuto prima mettere tutto il personale nelle condizioni di lavorare a distanza”.
“NESSUNA RISORSA EXTRA”
“Per portare a termine questo lavoro, le risorse sono tra l’altro le stesse di prima – ci spiega ancora l’Inps – con l’aggiunta del collegamento tra colleghi da remoto. Dall’oggi al domani, abbiamo dovuto mettere in piedi una organizzazione complessa. Il decreto cura Italia ci ha imposto da un giorno all’altro di cambiare completamente il nostro modo di lavorare. È stato ed è un po’ difficile per tutti”.
“DOBBIAMO VERIFICARE CHE NON VI SIANO FRODI”
“Dobbiamo verificare – ci ha confidato un dirigente dell’Inps – che in tutti questi pagamenti non si infiltri un po’ di frode. Là dove ci sono, come dire, tanti aiuti da concedere per di più in breve tempo, il rischio è che ci possa essere anche qualcuno che di questo aiuto non ha esattamente bisogno. Per questo noi controlliamo. Un conto è fare la domanda, un conto è poi verificare tutta una serie di elementi. Sono risorse pubbliche, le dobbiamo dare a chi ne ha diritto, a chi ne ha bisogno. Non disperderle”. E, a quanto ci è stato anticipato, saranno parecchi a vedersi sbattere la porta in faccia dall’Inps per aver chiesto più di quanto dovuto o aiuti a cui non avevano diritto, in una percentuale che si aggira attorno ad un quarto delle richieste depositate all’Inps di Roma e del Lazio.