È un orecchio dal quale il potere di turno proprio non ci vuol sentire: quando si tratta di variare le tariffe idriche per avvantaggiare i gestori (soprattutto i loro soci privati), i politici “servi” si scapicollano per approvare le loro richieste; quando invece si tratta di fare il contrario, cioè deliberare per ridurre quelle tariffe, gli stessi soggetti fanno gli gnorri. È quanto sta avvenendo a seguito dei referendum del 12 e 13 giugno scorso. Il popolo italiano ha abrogato a maggioranza schiacciante la norma che impone sulle bollette dell’acqua la remunerazione obbligatoria del capitale investito dai gestori idrici, quel 7% di guadagno che la legge garantiva ai gestori stessi, anche se i servizi erano pessimi e addirittura peggiorati. Questa abrogazione deve ora essere applicata, visto che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato il 18 luglio scorso il relativo decreto sull’esito referendario.
Né il Governo né il Parlamento possono intervenire per modificare questa nuova norma per almeno cinque anni. Il decreto di Napolitano è entrato in vigore il 21 luglio. Da quella data la remunerazione del capitale investito non può più essere riportata in bolletta ed è scattato l’obbligo di emanare una serie di atti da parte degli uffici ed enti interessati. La loro omissione comporta automaticamente la commissione di un reato. Gli atti in questione sono: 1) adeguamento alla nuova disposizione di tutte le nuove bollette idriche che devono essere ridotte del 7%; 2) sempre alla data del 21 luglio dovrebbe esser stata prodotta una sorta di fotografia sugli investimenti realmente realizzati dai gestori (Acea Ato 2 SpA e Acqualatina SpA), per evitare che risultino eseguiti sulla carta lavori mai effettuati, tipo quelli che dovrebbero aver risolto le varie emergenze locali sull’arsenico; 3) approvazione di un nuovo piano tariffario da parte dell’Autorità d’Ambito idrico (Conferenza dei Sindaci degli ATO).
Tutto questo deve essere vagliato dall’ex CONVIRI (Commissione Vigilanza Risorse Idriche) recentemente (proprio nella fase referendaria) trasformata in Agenzia. Quest’ultimo organismo è già stato diffidato, come al solito su iniziativa del Comitato Acqua Pubblica di Aprilia, ad esprimersi con sollecitudine sull’adeguamento tariffario. Ciò non toglie che ogni singola Autorità d’Ambito e i loro Presidenti (nel nostro caso i presidenti di Provincia di Roma e Latina, Nicola Zingaretti e Armando Cusani) possano procedere di loro iniziativa alla definizione della questione per venire incontro ai cittadini e per rispettare la nuova normativa: basta indire le rispettive Conferenze dei Sindaci ed intanto deliberare per fissare i paletti della questione. Ma è proprio da questo orecchio che non ci sentono. E allora cosa possono fare i cittadini? Semplice: contestare come illegittima ogni bolletta con consumi dal 21 luglio 2011 in poi, se non riporta l’adeguamento previsto dalla formulazione attuale della legge, ossia se contempla ancora quel 7% di guadagno per il gestore. Senza tale adeguamento, le bollette sono fuorilegge. Se politici ed enti non provvedono, il Comitato Provinciale Difesa Acqua Pubblica di Latina ha annunciato lo sciopero del pagamento delle bollette illegali.