Il Tar del Lazio ha dato ragione al sindacato dei medici italiani: ai malati di Covid che si trovano a casa non devono pensarci i medici di famiglia. I giudici hanno accolto il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati, e condannato la Regione Lazio al pagamento delle spese di giudizio. Il braccio di ferro tra medici di famiglia e Regione Lazio andava avanti da tempo, perché i primi si ritenevano «investiti di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid del tutto impropria, che per legge dovrebbe spettare unicamente alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale, istituite dal legislatore nazionale d’urgenza proprio ed esattamente a questo scopo». Secondo loro assistere i contagiati a casa significava essere «pericolosamente distratti e di fatto sollevati dal precipuo compito che è quello di prestare l’assistenza ordinaria, a tutto detrimento della concreta possibilità di assistere i tanti pazienti non Covid, molti dei quali affetti da patologie anche gravi». È stato stabilito che «nel prevedere che le Regioni “istituiscono” una unità speciale “per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero”, la disposizione rende illegittima l’attribuzione di tale compito ai medici di medicina generale – si legge -, che invece dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid). Pertanto, l’affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid risulta in contrasto con le citate disposizioni».
Non l’ha presa bene la Regione Lazio. «Proporremo ricorso urgente al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio – comunica l’Unità di Crisi COVID-19 della Regione Lazio – che è in contraddizione con le funzioni che il nuovo accordo collettivo nazionale assegna ai medici di medicina generale, tant’è che di recente è stato siglato l’accordo nazionale, non dalla sigla che ha proposto il ricorso, che permettere loro di eseguire i tamponi rapidi, dove necessario anche a domicilio. La sentenza del Tar, che rispettiamo, non tiene conto di un quadro di forte evoluzione del ruolo dei medici di medicina generale nel contrasto alla pandemia ed arriva dopo 8 mesi dalle modalità organizzative messe in atto che finora hanno consentito di essere nella cosiddetta zona ‘gialla’. Nel Lazio vi sono oltre 60 mila persone in isolamento domiciliare ed è tecnicamente impossibile gestirle unicamente con le USCA-R. E’ innanzitutto compito della medicina territoriale farsi carico, con i dovuti mezzi di protezione e la dovuta formazione, di questi pazienti che molte volte non sono affetti unicamente da COVID, ma anche da altre patologie croniche. Pertanto l’assunto del Tar per cui gli medici di medicina generale dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza ordinaria domiciliare (non COVID) è tecnicamente impossibile in una visione olistica del paziente, vorrebbe dire che un anziano iperteso diabetico e con il COVID può avere un’assistenza domiciliare dei medici di medicina generale solo per le patologie croniche anziché per l’intero quadro clinico. Proprio in questi giorni, attraverso il Commissario nazionale per l’emergenza, si stanno distribuendo a tutti i medici i kit per i tamponi rapidi antigenici, da fare nei loro studi, o presso locali messi a disposizione dalle Asl e dei Comuni e lì dove necessario anche a domicilio ed è per questo che la Regione Lazio ha disciplinato su base volontaria e nell’ambito delle prerogative attribuite dalla legge questa modalità. Ora c’è un rischio di un danno grave e irreparabile alla rete dell’assistenza territoriale nel contrasto alla pandemia».