CI AVEVANO GIÀ PROVATO
Non sarebbe una grande notizia per Il Caffè, che sistematicamente ha raccontato i tentativi della casta di aggirare la volontà popolare. Lo fece già il governo Berlusconi, appena due mesi dopo il referendum, reintroducendo l’obbligo di privatizzare le società che gestiscono i nostri servizi pubblici (referendum n.1), lasciando momentaneamente fuori l’acqua. Poi, in sede di conversione in legge del decreto, il Parlamento aveva introdotto una norma ambigua che ridava la possibilità ai gestori di fare profitti sui servizi idrici. Ma la Corte Costituzionale ha bocciato anche questo tentativo.
NUOVO TRUCCO, I SOLITI AFFARI
Ora il “nuovo” tentativo contenuto nella deliberazione dell’Autorità per l’energia e il gas: attraverso una tariffa transitoria per il periodo 2012-2013 (quindi con effetti retroattivi), di fatto si reintroduce il principio che con l’acqua ci si possono fare enormi profitti. Il provvedimento dice ai gestori di stare un po’ attenti alle varie voci di costo inserite nei loro bilanci: ad esempio di non caricare spese che con gli investimenti non c’entrano nulla. Ma sostanzialmente si ribadisce il concetto del costo finanziario (cioè il lucro da parte di qualcuno), senza il quale non c’è trippa per gatti e perciò dev’essere caricato sulle bollette idriche.
LA COSTITUZIONE LO VIETA, I PARTITI LO PERMETTONO
Guarda caso però è lo stesso principio riconosciuto contrario alla nostra Costituzione con la sentenza n. 26/2011 della Corte Costituzionale la quale, ammettendo il relativo referendum, ha chiarito una volta per tutte che l’acqua non può essere trattata come una merce. In altra sentenza, poi, la stessa Corte ha chiarito che le modifiche alle tariffe non possono riguardare il passato.