Preg.mo Sig. Sindaco di Latina,
la discussione accesasi sui social sulla realizzazione di uno skatepark nel luogo attualmente occupato dai resti della pista di pattinaggio nel parco Falcone-Borsellino, ovvero nel “Parco Comunale” (come esattamente era denominato anche nella toponomastica ufficiale), sta dimostrando l’attenzione e le aspettative, forse inaspettate, della nostra comunità rispetto alle sorti della città e ai progetti di sviluppo e potenziamento dei suoi luoghi di aggregazione.
Credo che l’aver provocato un dibattito sui luoghi e le loro funzioni sia già un risultato importante, che scuote dalle fondamenta l’idea un po’ succube dei “cittadini” che spesso viene mediata in questo momento storico contrassegnato dalla retorica dell’antipolitica: costringere le persone e le realtà associative a discutere della città (la “polis” appunto) costituisce affermazione del ruolo e del primato della “politica”.
Ma per tradurre tale operazione in un successo e quindi in “buona politica”, in discontinuità con le modalità di assunzione delle scelte (e delle non-scelte) che hanno contrassegnato le amministrazioni cittadine del passato più o meno recente, credo che occorrano ancora due passaggi imprescindibili, ovvero accettare di sostenere il dibattito così da tradurlo in confronto e affrontare i temi nella loro specificità storica, sociale e scientifica; ciò perché anche scelte che possono apparire minime trasformano la città, cosicché il loro contenuto e il modo in cui vengono assunte può segnare la differenza tra una crescita e un fallimento.
Ebbene, la proposta di ubicare lo skatepark all’interno del Parco cittadino, evidenzia – ancora una volta – quanto sia non più rinviabile una rigorosa indagine conoscitiva sui fenomeni urbani e la loro complessità. Fenomeni non riconducibili ad una semplice sommatoria di funzioni, una dotazione di servizi, ingenui derivati di quello schematismo funzionalista che risolveva le questioni connesse alla crescita urbana attraverso la strategia dello zoning (o “zonizzazione”, ovvero quella tecnica di pianificazione delle città che in Italia è stata spinta fino all’estremo, con una legislazione di cui gli stessi artefici hanno di recente ammesso il fallimento).
All’interno della città – sia nel centro che in periferia – esistono delle aree “senza qualità”, incompiute o dismesse, comunque ancora in attesa di soluzione. A queste aree se ne affiancano invece altre con il destino segnato dalla pianificazione: aree per attrezzature sportive, aree genericamente “verdi”, aree per parcheggio (e qui si aprirebbe un altro interrogativo: siamo sicuri che debbano per forza e sempre essere pavimentate, asfaltate e comunque perennemente impermeabili?); poi ci sono gli spazi della vita civile, espressioni della collettività, dei suoi valori positivi e delle aspirazioni condivise; poi ancora ci sono le “architetture civili” ovvero la chiesa, il palazzo comunale e in genere tutti gli edifici per la vita collettiva.
Il parco è uno di queste ultime. Dotato (il parco) di una sua specificità che risiede proprio nella volontà collettiva di affermare anche all’interno della città il “paesaggio” e, con esso, tutti i valori positivi espressi dalla qualità di un ambiente non urbanizzato. Riconoscere questa condizione significa esprimere una consapevolezza delle tematiche ambientaliste connesse al concetto di paesaggio.
Sottrarre una parte del parco – non importa se piccola o grande o addirittura “impercettibile” – significa non riconoscere “l’ambiente” (di cui invece tutti parlano) come un valore condiviso.
Ma la specificità intrinseca del “parco” quale “architettura civile” ne esprime anche la specifica vocazione funzionale. Un parco cittadino – meglio se curato – è una tipologia già definita ed è proprio per la sua specificità tipologica che si rende disponibile ad un uso storicamente consolidato: dalla passeggiata alla contemplazione, dall’ascoltare musica alla lettura, dal permettere la transizione da un luogo all’altro della città – della cui identità è parte coessenziale – al consentire l’incontro civico della cittadinanza. Come pure è possibile stare sdraiati sul prato semplicemente a guardare il cielo. In sostanza il parco è fruizione collettiva (ovvero di tutti), nonché spesso quiete in antitesi alla frenesia della città e, non a caso “Sans souci” – senza pensieri – è il nome del più bel parco berlinese a Potsdam di Peter Joseph Lenné.
Ciò vuol dire che il progetto di cui si sta discutendo pare proprio muoversi nell’ottica contraria a questa analisi, in quanto sottrae alla funzione generale una parte di quello spazio e la assegna a una fruizione “esclusiva”, nel senso che esclude chi non pratica quella specifica attività: non solo di quello spazio non consente usi diversi, ma non ne permette nemmeno usi concorrenti e contestuali.
Ma, soprattutto, questa scelta incide in modo inadeguato su uno dei problemi di fondo della struttura e configurazione della nostra città: il rapporto inverso tra periferia e centro, dove il concetto di periferia, nell’accezione generale delle città moderne, non coincide con la nozione geografica (non indica ciò che è intorno alla città) ma contraddistingue i luoghi degradati senza altra funzione che l’uso occasionale. Ebbene, la questione urbanistica di fondo della nostra città è il fatto che il centro è periferia di se stesso e, infatti, è significativamente contrassegnato da spazi degradati e tende a svuotarsi di senso e di vita collettiva: uno skatepark, contrariamente a quanto si può pensare, non contribuirebbe a ridare senso e “centralità” al parco e al centro della città, ma ne destinerebbe ad un uso occasionale e occasionato una ulteriore parte che, ancora una volta, non potrebbe essere fruita collettivamente nemmeno nel tempo in cui gli skaters non la utilizzassero per il loro nobilissimo e bellissimo sport.
Ecco, su questi temi che vengono coinvolti dalla nostra questione di oggi, la Casa dell’Architettura ha intenzione di mettere a disposizione delle scelte politiche il proprio patrimonio di consapevolezze, storia ed elaborazioni: ciò in genere, ma tanto più quando si tratti di dare una chance ad una esperienza politica che nasce dalla coscienza civica e che alla stessa vorrebbe (con intenzione che ritengo sincera) riportare scelte concrete, opere e trasformazioni dettate dall’interesse della collettività e che siano tali da poter sopravvivere nel tempo, al di là della contingenza delle singole stagioni.