Salito sul banco dei testimoni, per circa un’ora Fiorenzo D’Alessandri, ex esponente del Partito democratico pometino, ha risposto alle domande del pm Giuseppe Travaglini e delle difese. Nel processo in corso davanti al Tribunale di Velletri sulla cosiddetta stagione degli incendi tra Ardea e Pomezia ha iniziato così a dipanarsi anche un’altra storia rispetto a quella oggetto delle contestazioni ai nove imputati, fatta di minacce e ricatti, con tanto di inquietanti rapporti tra politica e criminalità. Sotto accusa si trovano l’ex consigliere comunale di Ardea, Luca Fanco, ritenuto il mandante del rogo nel 2014 della Mercedes del collega consigliere Franco Marcucci, un incendio, secondo gli inquirenti, ordinato per destabilizzare il quadro politico locale, compiuto materialmente dal pometino Tito Ferranti, coinvolto poi nell’inchiesta antimafia sul clan Fragalà denominata “Equilibri”, e dal pometino Bruno Costantini. Ferranti, Costantini, il romano Walter Ferranti, e il pometino Roberto Colafranceschi sono poi accusati anche di una serie di furti di gasolio messi a segno ai danni del Consorzio Coop Formula Ambiente a Pomezia, mentre Marco Del Fiume, di Ardea, anche lui arrestato nell’inchiesta sul clan Fragalà, il romano Corrado Innocenzi, il romano Massimiliano Cogliano, un ex pugile, e il pometino Alessandro Viola sono accusati a vario titolo dell’estorsione e della rapina a D’Alessandri, espulso dal Partito democratico dopo che nella stessa inchiesta “Equilibri” è stato indicato come uno dei politici su cui il clan puntava per mettere le mani sul Comune di Pomezia. In aula l’ex esponente dem e il figlio Simone hanno ricostruito gli episodi di cui sono stati vittime. Parlando dei rapporti con Del Fiume, D’Alessandi ha quindi precisato che si era rivolto all’agenzia dell’imprenditore perché avvertiva un bisogno di sicurezza, essendo stato vittima di minacce. Ha anche precisato che aveva riferito di quegli episodi ai carabinieri e poi una persona si era presentata da lui dicendogli di smetterla di parlare con le forze dell’ordine, altrimenti gli sarebbe accaduto qualcosa, scoprendo così di avere delle cimici nel suo ufficio. Con Del Fiume però le cose erano poi andate diversamente. “Non c’entra la politica”, ha assicurato il testimone relativamente alle minacce, smentendo anche l’ipotesi di pressioni sulle amministrative del 2018 a Pomezia per la candidatura a sindaco del Pd. Ma il quadro resta inquietante. E in aula D’Alessandri ha ammesso di conoscere sia Fragalà che la figlia del presunto boss, Astrid. Senza contare che nell’udienza è emerso che l’ex esponente dem è coinvolto anche in una vicenda di bancarotta con una famiglia di mobilieri più volte finita in storie di usura. Il prossimo 5 marzo nuova udienza per il deposito della perizia sulle intercettazioni e poi il 30 aprile per esaminare altri testi del pm.
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