L’acqua era avvelenata da arsenico, quindi il gestore idrico deve restituire all’utente una parte delle bollette perché “usufruiva di un servizio idrico limitato che determina di conseguenza una riduzione dei canoni pagati”. Quanto invocato dai cittadini arsenizzati ha ora il sigillo della Repubblica con la firma dell’Autorità giudiziaria: il Giudice di Pace di Civita Castellana, nel viterbese, ha accolto la domanda di rimborso di un cittadino che per anni ha ricevuto acqua non potabile per il troppo arsenico ed ha condannato la società dell’acqua a ridargli circa il 20% dell’ammontare delle bollette, cioè 50 euro dei 204 pagati per i periodi tra l’estate 2006 e quella 2007. Un’importante decisione, che può aprire la via al popolo degli arsenizzati anche negli Ambiti idrici in mano ad Acea Ato 2 e ad Acqualatina.
La sentenza, infatti, dice che in simili situazioni il gestore “ha l’obbligo di effettuare la parziale restituzione dei canoni”. Cosa che da tempo molti cittadini e il nostro giornale affermano, sostenuta ufficialmente e ribadita anche dal Garante regionale per il servizio idrico integrato del Lazio. «Trattandosi di un servizio pubblico dato dietro corrispettivo – è da anni la posizione del Garante, avvocato Raffaele Di Stefano – la qualità è elemento essenziale e concorre alla determinazione del prezzo, perciò dove viene servita acqua non utile per l’uso completo potabile e alimentare e viene vietata, va pagata meno». Non a caso il Tribunale amministrativo del Lazio a gennaio dell’anno scorso ha riconosciuto l’ingiustizia di far pagare a prezzo pieno l’acqua con arsenico oltre i limiti di legge (fermo restando che per la salute umana è bene che questo veleno sia assente) ed ha condannato i Ministeri dell’Ambiente e della Salute a rimborsare 100 euro a testa ad oltre 2.000 utenti. «Basta un po’ di pioggia in più o in meno – aggiunge Di Stefano, sottolineando che il problema dopo anni ancora non è risolto definitivamente – e le concentrazioni di arsenico si abbassano o si alzano. Interessante sarebbe anche aprire un dibattito serio sulle tecnologie utilizzate… Il problema qui non è più l’emergenza, ma è diventato strutturale, cioè mancano le infrastrutture e questa mancanza ha un nome e cognome: Autorità d’Ambito, cioè il Presidente di Provincia che coordina i Sindaci che devono stabilire gli interventi». Sempre dalla Tuscia, l’area in provincia di Viterbo anch’essa avvelenata da malagestione idrica e dall’arsenico, arriva un nuovo passo: centinaia di cause per risarcimento danni.
«Stiamo chiedendo che ci vengano risarciti complessivamente 1.650 euro a famiglia per danno materiale, inadempimento contrattuale e inosservanza delle leggi nazionali ed europee che determinano inadempimento del contratto – ci spiega Raimondo Chiricozzi, presidente del Comitato Acqua Potabile di Ronciglione (Vt) -. Per luglio dovrebbe partire la discussione delle cause, che finora sono state avviate da oltre 200 utenti». «Siccome sono parzialmente inadempienti, noi chiediamo di ridurre proporzionalmente il canone del 50%, in base ad un vecchia deliberazione del Cipe – ci dice l’avvocato Massimo Pistilli che cura le cause -; poi chiediamo anche il risarcimento del danno laddove riusciamo a dimostrare che l’utente ha dovuto sopperire con l’acqua minerale spendendo di più. Inoltre, stiamo facendo un’altra azione legale ad hoc per commercianti, cooperative e artigiani che utilizzano acqua per produzioni (bar, caseifici, ristoranti, imprese alimentari e simili) destinate al consumo umano e che hanno dovuto comprare il dearsenizzatore: quando lo comprano, noi facciamo causa al gestore per farcelo risarcire. Del resto il Comune mi dice di dearsenizzare l’acqua, io mi adeguo, però non è giusto che ci rimetta io e quindi chiedo di pagarmi il dearseniizatore». Infine, un’altra mossa che potrebbe avere risvolti ancor più clamorosi: «Stiamo preparando un’azione per violazione del diritto comunitario – anticipa il legale -, il riconoscimento di tale violazione davanti al giudice dà poi luogo ad automatico riconoscimento del danno a favore dell’utente e contro la Repubblica Italiana. In sostanza, stabilito che hanno fornito acqua non regolare secondo la normativa europea, dovranno risarcire l’utenza».
«Abbiamo chiesto risarcimento da “perdita di chances” – precisa l’altro avvocato del comitato, Riccardo Catini – ossia per il maggior rischio di contrarre malattie tumorali, come recentemente evidenziato dallo studio epidemiologico di Arpa Lazio; il danno non patrimoniale per la violazione del diritto alla salute garantito dalla Costituzione; oltre al danno patrimoniale per aver dovuto comprare l’acqua minerale. I gestori devono capire che è più conveniente fornire acqua potabile nelle case, come dice la legge e come avrebbero dovuto fare già da oltre 10 anni». Anche tra le province di Roma e Latina lo studio epidemiologico regionale ha rilevato più tumori e malattie nelle aree dove c’è più arsenico nelle acque. Ma sindaci e amministratori tacciono.