QUEL MACIGNO SULL’EX CAVA
La bonifica di fatto è un macigno difficilmente superabile perché il progetto della Paguro prevede che si possa mettere in sicurezza e bonificare l’area contestualmente allo smaltimento di “sovvalli”. Detto in italiano corrente, significa rifiuti diversi da quelli della bonifica, che costituiranno la quasi totalità delle volumetrie considerate. Parliamo di 750.000 metri cubi: 120 palazzi da 10 piani. A fronte di una stima di 67.693 metri cubi di rifiuti da bonificare… Secondo l’ARPA la questione bonifica ha una “valenza pregiudiziale”: vuol dire che se prima non si approva uno specifico progetto, distinto e separato, da parte dei soggetti interessati (Regione, Comune, Provincia, ARPA e ASL), altri rifiuti in quel sito non ci possono andare.
IL PROCEDIMENTO PARALLELO CONGELATO
L’Agenzia infatti fa presente nella sua nota che presso il Comune di Aprilia è già stato avviato da tempo un procedimento che deve arrivare a questo obiettivo. Tant’è che sono già state fatte delle analisi (con risultati preoccupanti, come vedremo qui di seguito) ed è stato approvato a marzo 2020 anche il cosiddetto “Piano della Caratterizzazione”, cioè quali inquinanti ci sono nel sito e il loro attuale livello di pericolosità. Tutto l’iter si deve ancora concludere proprio con il progetto definitivo di bonifica. Nel frattempo però la società proponente Paguro Srl ha presentato presso la Regione Lazio una richiesta di PAUR. Cioè per il Permesso Autorizzativo Unico Regionale, introdotto con l’art. 12 bis del codice ambientale (D.Lgs. 152/2006): una procedura più veloce e snella che oltre a concedere i nulla osta e permessi necessari con l’Autorizzazione Integrata Ambientale, consente direttamente al proponente anche di realizzazione l’opera, così come predisposta nel progetto, sia pure con eventuali modifiche non sostanziali.
PATATA BOLLENTE IN REGIONE
Trattandosi quindi di due procedimenti distinti, l’ARPA di fatto ha rimesso alla Regione Lazio la responsabilità di decidere quale dei due debba andare avanti: cioè quello attivato dal Comune di Aprilia per la sola bonifica e tutt’ora in corso, oppure quello avviato dagli stessi uffici regionali con il PAUR e che riguarda i rifiuti rimossi con la bonifica (10%) più i “sovvalli” (90%). La controversia posta da ARPA è più che altro di carattere procedurale perché senza dubbio la responsabilità ultima di tutte le procedure di bonifica, anche dei siti industriali dismessi, ricade sul Comune dove si trova il sito interessato. Tale responsabilità riguarda l’attivazione sia delle procedure per ingiungere al proprietario del sito di procedere alla bonifica in quanto “soggetto obbligato”, sia quelle di agire in via sostitutiva e in danno del proprietario inadempiente. Cosa che in passato è avvenuta, peccato che l’architetto del Comune abbia sbagliato il numero del foglio mappale nel quale rientrano le particelle catastali da bonificare. E così il provvedimento venne notificato alle persone sbagliate. E peccato ancor più visto che i lavori di bonifica erano stati approvati e appaltati dall’amministrazione comunale.
LA REGIONE STRAVOLGERÀ LA LEGGE?
Tornando ad oggi, di conseguenza, se la Regione decidesse di andare avanti con il solo progetto presentato per il PAUR, si determinerebbe uno stravolgimento della normativa di settore, con ricorsi automatici alla giustizia amministrativa (TAR e Consiglio di Stato). Questo potrebbe accadere soprattutto in riferimento a quale dei due Enti – Regione o Comune – debba eseguire la bonifica in caso di inadempienza del proprietario. Ma anche (perché no) per accertare se il diritto di rivalsa in danno possa essere esteso dallo stesso Ente anche all’intero patrimonio dell’inadempiente. Cioè se il Comune o la Regione – dopo aver bonificato il sito al posto del proprietario – possano farsi ridare dal proprietario i soldi spesi per la bonifica stessa. Questioni di non poco conto, visto che da un bel pezzo l’area di La Cogna è inserita nell’elenco dei siti “ad altissimo rischio”. E chi si prende la responsabilità di autorizzare il progetto di bonifica, in sostanza, deve prendersi anche la responsabilità di effettuarla se non la farà il soggetto obbligato.
18 CONTAMINANTI: INELUDIBILE BONIFICA
Vi sarebbe una strada alternativa: la stessa Regione potrebbe acquisire tutte le risultanze finora emerse con la procedura avviata presso il Comune di Aprilia. Ma anche questo percorso lascia aperto il dilemma: chi deve fare la bonifica? La Regione o il Comune. Perché il fatto che quell’area è inquinata e rischia di contaminare anche i territori limitrofi, è un dato ormai agli atti: lo attesta sia l’ARPA che la stessa Paguro Srl, con il Rapporto di Caratterizzazione Ambientale, realizzato con la consulenza della Ambiente Spa con sede a Carrara, in Toscana. Nel sito sono stati rilevati ben 18 contaminanti oltre la soglia delle CSC (Concentrazioni Soglia Contaminazione). Nell’ordine si tratta di: manganese, alluminio, ferro, cromo esavalente, benzene, triclorometano (noto come cloroformio, molto volatile e perciò respirabile e dichiarato cancerogeno), cloruro di vinile, dicloroetilene, tricloroetilene, tetracloroetilene (PCE), diversi organoalogenati, dicloropropano, tricloropropano, PCB totali (aroclor 1242, 1248, 1254, 1260), nitriti, dicloroetano, tricloroetano e idrocarburi totali. Tutti elementi tipici delle attività di discarica.
LO SBANCAMENTO E LA BARRIERA A RISCHIO
Comunque sia, dice ARPA, la “valenza pregiudiziale” della bonifica non può essere elusa, anche perché c’erano e ci sono da produrre ulteriori atti e documentazione che Agenzia regionale non ha ancora ricevuto. Ma non basta. Ci sono da considerare in quel parere tutte le criticità e incongruità emerse nel progetto della Paguro. Per quanto riguarda i requisiti geologici e idrogeologici, nell’allestimento dell’intero impianto di smaltimento, in riferimento alla barriera di fondo (una sorta di “pannolone” alla base dei rifiuti che deve essere unico), lo sbancamento per realizzare la discarica elimina di fatto buona parte della formazione geologica naturale che protegge la falda acquifera sottostante. La crosta superiore, per intenderci. Anche se poi secondo il progetto la protezione dovrebbe essere ripristinata con materiale di riporto, l’intervento non garantisce comunque il distanziamento obbligatorio previsto dalla legge. “NeÌ si ha evidenza che rispetto al piano di imposta dello strato inferiore del sistema barriera di fondo sia garantito il necessario franco di 2 m in funzione della soggiacenza della falda”. Tradotto: l’obbligatoria distanza minima di due metri che per legge deve separare il fondo della discarica dalla falda acquifera non è garantito.
3 STRATI SOTTO I RIFIUTI CHE NON CONVINCONO
IL PROBLEMA ESONDAZIONI E PERCOLATI
Per la barriera di fondo e le sponde della discarica sono previsti tre strati dall’alto verso il basso: 1) strato di drenaggio costituito da materiale granulare; 2) strato di impermeabilizzazione costituito da geotessile, geomembrana e materiale con bassa permeabilità; 3) barriera geologica completata artificialmente. Per ognuno di questi elementi l’ARPA ha rilevato difformità progettuali sia rispetto alla normativa che rispetto alle caratteristiche tecniche dei materiali. Problemi simili sono emersi anche sul sistema barriera delle sponde della discarica: altro particolare di non poco conto vista l’adiacenza di due corsi d’acqua a rischio di esondazione. Contrariamente a quanto valutato dal progetto della Paguro – critica l’Arpa – andrebbe considerato un potenziale rischio di esondazione dei corpi idrici superficiali che delimitano il sito, Fosso del Buon Riposo e Fosso della Ciocca: rischio che invece il progetto considera molto basso.
L’ARPA teme inoltre possibili cedimenti alla base della discarica e quindi mette in guardia su possibili infiltrazioni dei percolati nelle falde acquifere a pochi centimetri lì sotto. Il timore è questo: se l’acqua penetra nel corpo della discarica si carica di contaminanti e in parte rischiano di finire nella falda e/o nella fosso della Moletta che sfocia nel mare di Nettuno, attraverso il fosso Loricina.
IL PROBLEMA ESONDAZIONI E PERCOLATI
Nell’impianto, inoltre, dovrebbero essere smaltiti anche scarti provenienti dal trattamento aerobico di rifiuti solidi, da impianti di selezione meccanica, da altri siti di bonifica – compresi fanghi – e di rifiuti urbani non differenziati. La documentazione agli atti però non indica le quantità di ogni tipologia di rifiuti né la loro provenienza e pertanto non è possibile stimare, ad esempio, la produzione di biogas: in particolare per quanto riguarda i due codici CER potenzialmente caratterizzati da un’elevata componente organica. “A titolo di esempio – scrive l’ARPA – nel caso di rifiuti biodegradabili, la sola disidratazione non può essere ritenuta sufficiente”. Cioè non basta farli asciugare. E per essere ancora più chiari sul punto, i tecnici regionali precisano: “Non sono state fornite informazioni circa le modalità di gestione, di stoccaggio e smaltimento dei citati rifiuti.”
LE ALTRE PERPLESSITÀ DELL’ARPA
Non sono stati giudicati sufficienti e coerenti con la normativa neanche lo strato superficiale di copertura (il cosiddetto capping), il controllo delle acque e la gestione del percolato di discarica, la gestione del biogas, le emissioni complessive in atmosfera, l’impatto degli odori sprigionati dalla discarica, la gestione delle acque reflue domestiche, il piano di gestione operativa, il piano di gestione in fase post-operativa (il cosiddetto post mortem), il Piano di Sorveglianza e Controllo e il Piano di Monitoraggio e Controllo (PMeC). Conclusione del parere a questo punto scontata: negativo. Giocoforza ora la Paguro sta ricorrendo ai ripari chiedendo lo slittamento di altri trenta giorni della seconda riunione per il PAUR. Seduta posticipata al 17 maggio. Nella realtà dei fatti i rilievi dell’Arpa sono un durissimo colpo al progetto. E comunque se prima non si fa la bonifica la partita finisce qui. Anche perché – sottolinea l’Agenzia ambientale – “dalla documentazione agli atti non si ricava notizia dello stato di avanzamento dell’iter amministrativo del procedimento di bonifica” avviato presso il Comune di Aprilia.
Roberto Lessio e Francesco Buda