Fino ad ora hanno però visto la luce solamente i primi due stralci, che tra varianti e rimodulazioni del quadro economico sono costati circa 7 milioni di euro (1 milioni e 300 mila euro per il primo, 5 milioni e 300 mila per il secondo, più spese di progettazione), finanziati quasi interamente dalla Presidenza del Consiglio, con Regione e Provincia a elargire la restante parte di finanziamento e a dirigere i lavori. Un intervento che non ha solamente fallito nel risolvere il problema dei posti barca – solamente 300, quando nel progetto originario ne erano previsti 1000 – ma che ha paradossalmente peggiorato la solidità e la funzionalità della struttura. E oltre ai problemi di natura idraulica che hanno causato il cedimento di alcuni tratti dell’argine e di parte della duna rinaturalizzata, i lavori risultano incompiuti: “Mancano gli allacci della corrente, delle rete idrica e al depuratore”, ha denunciato l’assessore alle Attività Produttive Felice Costanti, difronte un folto gruppo di diportisti e rappresentati delle associazioni che hanno gremito ancora una volta la sala delle commissioni consiliari.
Se le criticità di natura idraulica vanno imputate ai lavori effettuati per il I stralcio, denominato appunto “messa in sicurezza della bocca di accesso al Canale di Rio Martino” e di competenza della Regione, il conto per gli allacci mancanti va chiesto invece alla Provincia, stazione appaltante per il II stralcio. Proprio l’ente provinciale ha rilasciato un collaudo amministrativo (una semplice rendicontazione dei soldi spesi) ma non tecnico, sulla base del quale dovrebbe avvenire la consegna dei lavori. E la domanda su chi a via Costa si prenderà la responsabilità amministrativa (ed eventualmente penale) di firmare tale atto sorge spontanea, dal momento che l’area è sotto sequestro dall’autorità giudiziaria e i cedimenti di gennaio hanno gettato più di un’ombra sui lavori.
L’amministrazione comunale, dunque, si trova ora davanti ad un bivio che potrebbe rivelarsi in realtà un binario morto: farsi consegnare “un’opera incompiuta e mal eseguita” – come l’ha definita Costanti nella commissione di questa mattina – o intavolare una trattativa con Ministero e Regione per ottenere altri fondi per il completamento e la messa in sicurezza, proponendosi come stazione appaltante per una nuova gara d’appalto. La volontà politica è quella di intraprendere la seconda strada, che si scontra però con ben quattro sentenze del Consiglio di Stato che prescrivono l’incompatibilità di tale funzione con le competenze degli enti comunali per questo tipo di infrastrutture sul demanio marittimo, andando a sconfessare la relativa legge della Regione Lazio che invece va nella direzione opposta. Opzione che dunque aprirebbe la strada a diversi contenziosi e agiterebbe lo spettro del danno erariale per l’ente di Piazza del Popolo. Un groviglio burocratico che interessa Comune e Regione e che, come riferito dal dirigente del settore Ambiente Sergio Cappucci, è stato oggetto di una serie di corrispondenze tra i rispettivi uffici tecnici e avvocature. Ma la quadra non è ancora stata trovata e lo scenario resta nebuloso, motivo per il quale l’opposizione ha chiesto di portare il tema in Consiglio Comunale. Proprio come per l’altro accesso al mare di Latina, quello del canale Mascarello, sotto sequestro da quasi un anno e mezzo e in merito al quale è stata annunciata una conferenza dei servizi. Risultato: il mare del capoluogo resta un mare senza approdo. E mentre nelle stanze della politica ci si dimena nel pantano amministrativo, un’economia che ruota attorno alla Marina di Latina rischia di scomparire.