IL PECCATO ORIGINALE
Se si parla, appunto, di responsabilità, politica ed amministrativa, il dito deve essere puntato su chi ha votato la famosa delibera di consiglio comunale n. 44 del 2006, che andava ad istituire, al posto della Tarsu, la Tariffa di Igiene Ambientale, poi sostituita dalla Tia2 e poi confluita nella Tari insieme a Tarsu e Tares. Un atto approvato oltre i termini di legge, portato in consiglio comunale due mesi dopo l’abrogazione disposta dal Codice Ambientale. Una tariffa illegittima e spacciata come una tassa, quando in realtà le bollette recapitate ai latinensi non erano altro che vere e proprie fatture – assimilabili a quelle emesse da qualsiasi altra società privata –, su cui, a differenza di un tributo, il gestore aveva poteri deliberativi. Tant’è che la Latina Ambiente, oltre ad applicare un 10% di Iva, inviò bollette più elevate rispetto a quanto previsto dal relativo regolamento comunale. Questo, in barba ad un pronunciamento della Corte Costituzionale, datato 2009, che decretava che la Tia1 doveva essere applicata come una tassa e non come, appunto, una tariffa.
RIMBORSI? UN MIRAGGIO…
Una serie di errori da matita rossa, da cui si è materializzato – come ribadito da una nuova sentenza della cassazione tributaria dello scorso 28 marzo – il diritto di non versare un centesimo da parte di chi ha impugnato o sta tutt’ora impugnando gli avvisi di accertamento per omesso pagamento, di fronte alla commissione tributaria sia provinciale che regionale. Per coloro che, invece, avevano intanto corrisposto le somme richieste, c’è un nuovo round in sede civile. Ma nemmeno un pronunciamento favorevole da parte del Tribunale potrebbe bastare per incassare, effettivamente, i rimborsi dovuti da parte di chi in quegli anni ha riscosso la tariffa sui rifiuti, ossia la Latina ambiente. “L’ennesima vittoria di Pirro”, commenta al Caffè Antonio Bottoni, presidente dell’associazione Codici e della Consulta provinciale degli utenti e dei consumatori. C’è infatti ancora tempo per chiedere il rimborso di alcune bollette, dal momento la prescrizione scatta dopo 10 anni dall’avvenuto pagamento. Gli utenti, pertanto, per far valere i propri crediti dovranno eseguire un’insinuazione al passivo della ex partecipata del Comune di Latina. E oltre a poterlo fare tardivamente (la verifica dei crediti, e quindi l’ammissione dei creditori nell’ambito del procedimento fallimentare, è già iniziata), dovranno mettersi in coda alle pretese di diversi soggetti creditori con cui la spa ha contratto debiti. La curatela fallimentare della società dovrà infatti prima far fronte ai crediti privilegiati e ai cosiddetti crediti in prededuzione: quindi prima verranno onorati i debiti con Erario, banche, pubbliche amministrazioni e con ditte e fornitori per la continuazione dell’esercizio provvisorio, e alla fine arriverà (forse) il turno degli utenti truffati dalla Tia, che dovrebbero essere rimborsati in parti uguali. Questo sempre nel caso in cui nelle casse societarie rimangano ancora dei soldi. Ipotesi, quest’ultima, alquanto improbabile: al momento della presentazione dei libri contabili in Tribunale, la Latina Ambiente era schiacciata da una mole di debiti da oltre 30 milioni di euro.
CONTENZIOSI & PARADOSSI
Sullo sfondo c’è anche uno spinoso contenzioso tra Comune e società, riguardo proprio i crediti Tia che è invece la società a vantare nei confronti del Comune. Le annualità in questione sono proprio quelle che vanno dal 2006 al 2009, anni in cui non sono state riscosse innumerevoli fatture. Un buco di oltre 13 milioni e mezzo. La curatela ha chiesto quei soldi al Comune, il quale nel 2013 era subentrato alla sua partecipata nel servizio di riscossione dei tributi, anche per quegli accertamenti relativi ad annualità precedenti, e che è titolare di quell’entrata. L’ente però ha risposto picche, non riconoscendo quel debito e precisando come quella operata dal Comune fosse stata, in realtà, un’acquisizione del credito vantato dalla società nei confronti degli utenti. Soldi che, dunque, il Comune sta riversando nelle casse della società man mano che riscuote le fatture: circa 2 milioni di euro negli ultimi due anni. Una mossa che, da un lato, ha spinto definitivamente la Latina Ambiente nel baratro del fallimento, e dall’altro ha sparigliato ancora di più le carte sul fronte dei rimborsi di quelle tariffe. Senza contare che, alla base di quest’ultimo nodo, c’è un apparente paradosso: poteva e può il Comune incassare delle tariffe che diverse sentenze della Cassazione hanno giudicato illegittime? “Sì, perché l’ente deve far fede alla delibera con cui è subentrato alla società nella riscossione della tariffa, e quindi anche di quei crediti Tia relativi alle annualità 2006-2009”, ci spiega Antonio Bottoni. Non c’è, infatti, un atto del Tribunale amministrativo e/o del Consiglio di Stato che vada a invalidare quella delibera di giunta di sei anni fa, che di fatto legittimava quei crediti vantati da Latina Ambiente. “Se il Comune non li riscuotesse – continua Bottoni – da una parte diverrebbe il maggiore debitore e dall’altra verrebbero accusati di ‘indebito arricchimento’ nei confronti di una sua partecipata in liquidazione”.
CHI PAGA PER QUEL PASTICCIO?
Insomma, una situazione ingarbugliata in cui aleggia, tra l’altro, lo spettro del danno erariale. In sostanza, il Comune e una sua società hanno riscosso per anni un tributo illegittimo e ora l’ex gestore dovrebbe risarcire i cittadini, anche attraverso delle somme che lo stesso Comune è obbligato a chiedere agli utenti, oppure di tasca propria nel caso il tribunale civile e poi la sezione fallimentare appurino che il Comune al tempo della presentazone dei libri contabili in Trinbunale aveva 13,5 milioni di debiti con la Latina Ambiente. Di che è la responsabilità di tutto questo dunque? Di quei consiglieri che votarono la delibera del 2006 che introduceva la Tia1, e del segretario generale e dei dirigenti che allora apposero il visto di conformità a quell’atto. L’attuale amministrazione potrebbe dunque inviare nuovamente le carte alla Corte dei conti per riscontrare se ci sia o meno una responsabilità di danno erariale e per valutare, perciò, la possibilità di chiedere una parte di soldi indietro a chi, ai tempi, partorì quel pasticcio conosciuto come Tia1. Forse l’unica consolazione che resta ai cittadini che hanno subito una vera e propria truffa.