Le due donne vennero arrestate nell’ottobre 2015 dai carabinieri, insieme al marito e padre delle imputate, dopo un blitz compiuto dai militari nell’abitazione di Ardea dove vivevano i tre, una famiglia originaria di Catanzaro. Gli investigatori trovarono all’interno della casa diverse munizioni, due pistole e due fucili, armi che erano state rubate in alcune abitazioni e in un caso oggetto della rapina subita da un cacciatore tra Ostia, Pomezia, Ardea e Nettuno. In giardino, sotto una catasta di legna, i carabinieri trovarono inoltre una bomba a mano di fabbricazione jugoslava.
Un “arsenale” clandestino di cui vennero ritenute responsabili anche le due donne. Gli investigatori, a tal proposito, specificarono che Del Gaiso aveva cercato di allontanarli, specificando che il marito in quel momento non era in casa, e che visibilmente nervosa si era fermata vicino a un armadio del salotto dove era custodita la maggior parte delle armi, mentre la figlia aveva consegnato loro una pistola che nascondeva dietro alcuni pupazzi nella sua camera da letto. Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Velletri condannò così l’imputato a tre anni e dieci mesi di reclusione, la moglie a tre anni e due mesi e la figlia a due anni e mezzo, disponendo per quest’ultima la sospensione condizionale della pena. I tre vennero inoltre condannati a pagare 1.400 euro di multa a testa.
Una sentenza avallata dalla Corte d’Appello di Roma il 15 febbraio dell’anno scorso e che le difese hanno cercato di smontare in Cassazione, sostenendo che l’imputato, deceduto a marzo, si era assunto tutte le responsabilità e che l’eventuale ruolo delle due donne nella vicenda era stato marginale. La Suprema Corte ha invece ritenuto provata l’accusa di detenzione illecita di armi, ma non quella di ricettazione e detenzione illecita delle munizioni. Del Gaiso ed Emily Pupo dovranno dunque su tali aspetti essere nuovamente giudicate dalla Corte d’Appello e per loro si profila uno sconto di pena.