Cosa accadde nel racconto dello scrittore giornalista e storico veliterno, Alessandro Filippi.
“Che hai fatto? Non doveva partire! L’altro non è arrivato ancora. Dio mio si scontreranno!» Quando ha visto quel treno allontanarsi sul binario della stazione di Ciampino, il mio collega, l’altro capostazione, è arrivato di corsa dal bar, urlando, e mi ha detto così. Allora ho capito che avevo fatto un errore tremendo. Sudavo freddo dalla tensione. Siamo corsi al telefono. Dovevamo fermare quel maledetto convoglio o l’altro. Abbiamo chiamato la stazione di Cecchina per bloccarlo, ma era già passato. Poi un casellante, ma non c’ era, il numero suonava a vuoto…Ero terrorizzato. Alla fine ha risposto. Era passato anche lì. Ed è arrivata la notizia dello scontro, i morti, i feriti…Dio mio”. Potrebbe sembrare l’inizio di un racconto eppure se lo appare è denso di una triste realtà, nasconde sotto le sue pieghe una brutale denuncia alla noncuranza e alla superficialità. Giunta la notizia il cinquantenne Sossio Dolce, ferroviere da trent’anni da poco promosso a capostazione, suda freddo, rimane immobilizzato e, consapevole di aver provocato un disastro non più rimediabile, si dà alla fuga, colto da un istinto difficile da contenere. Intanto lo scontro in velocità e l’inferno. Quel treno, poco prima inconsapevolmente partito da Ciampino con tanta sicurezza, non avrebbe terminato la sua corsa a Velletri e avrebbe impattato, presso Casa Bianca, contro il treno proveniente dal senso opposto che aveva appena lasciato la stazione di Santa Maria della Mole. Così il 27 gennaio 1992 corrono le ambulanze per salvare le vite disperse e abbandonate sui binari, il numero dei feriti sale sempre più, rimangono incerte le morti. Intervengono i vigili del fuoco a soccorrere le persone rimaste intrappolate nel cruento scontro frontale, estraggono il corpo esanime di uno dei macchinisti illuminati solo dalle fotoelettriche perché il sole ancora è timido a gettare luce su un massacro. Sossio vaga per la campagna, contatta i suoi più cari amici e dopo un’ultima telefonata alla famiglia si costituisce al capitano dell’Arma di Castel Gandolfo. Centonovantadue feriti, sei morti e l’accusa di disastro ferroviario aggravato colposo e di omicidio colposo plurimo. Un unico istante, una distrazione minima ma essenziale, ha segnato e sconvolto la vita di sette uomini e delle persone che li amavano
LE TESTIMONIANZE DI CHI C’ERA
Rientravo dal lavoro in auto e il traffico sull’ Appia era bloccato sin dal GRA e non si capiva cosa potesse essere la causa. All’altezza di Ciampino si vedevano numerose muffole blu di ambulanze dentro l’aeroporto. Allo si pensò ad un aereo caduto; solo alla rotatoria della Via dei Laghi si capì che il problema interessava il treno. Mia cognata che viaggiava su quel treno venne proiettata contro la parete del passaggio tra carozze e riportò serie ferite ma la raccontò. Altri non c’è la fecero
Giovanni Savelloni