Brunetti, l’8 settembre 2008, venne sorpreso dal titolare di un negozio di biancheria per la casa di Nettuno mentre stava cercando di compiere un furto nel magazzino dell’attività commerciale. Ne scaturì subito una violenta colluttazione, interrotta soltanto dall’arrivo di una volante del commissariato. Il 43enne venne rinchiuso in camera di sicurezza, a mezzanotte condotto nel carcere di Velletri e all’indomani in ospedale. Il neroniano stava male. Aveva contusioni multiple e una sospetta frattura cervicale. E morì, per un arresto cardiaco, mentre il personale del nosocomio stava compiendo su di lui i diversi accertamenti. Prima di spirare, però, aveva fatto in tempo a parlare con il medico del pronto soccorso, che gli aveva chiesto chi lo avesse conciato in quel modo. “Sono stati i poliziotti”, disse Brunetti.
La Procura di Velletri aprì un’inchiesta, ipotizzando l’omicidio preterintenzionale e il falso. Secondo gli inquirenti, il 43enne sarebbe stato picchiato selvaggiamente in commissariato e i poliziotti avrebbero poi falsamente sostenuto che l’arrestato si era ferito lasciandosi andare a gesti di autolesionismo, tanto che era dovuto intervenire un medico per sedarlo. La consulenza medico-legale evidenziò come il decesso fosse dovuto alla rottura della milza, che a sua volta sarebbe stata rotta da due costole fratturate. Un evento traumatico da far risalire a 15-21 ore prima del decesso. Finirono imputati i poliziotti Daniele Bruno, Massimo Cocuzza, Alessio Sparacino, tutti di Anzio e Nettuno, e Salvatore Lupoli, di Aprilia. I quattro vennero però assolti dalla Corte d’Assise di Frosinone il 4 ottobre 2013. Secondo i giudici non si poteva escludere che la vittima si fosse procurata da sola le lesioni o che quelle risultate letali fossero relative alla colluttazione che aveva avuto quando era stato sorpreso a cercare di compiere il furto a Nettuno. La Procura fece appello. Ma il 21 ottobre 2015 arrivò l’assoluzione anche dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma. In secondo grado i giudici scartarono l’ipotesi dell’autolesionismo, ritenendo che fossero provate sia la zuffa durante il tentativo di furto che il pestaggio ad opera dei poliziotti. Gli stessi giudici sottolinearono però che, “nell’incertezza fra tali ultime due cause”, i poliziotti dovevano essere assolti. “Fu colpito da poliziotti – sostennero – ma non si può, non solo con certezza, ma nemmeno sotto il profilo probabilistico, attribuire a questi colpi le cause delle ferite mortali”. Poi l’ultima battaglia in Cassazione, dove a chiedere di annullare con rinvio alla Corte d’Assise d’Appello la sentenza è stato il procuratore generale Luigi Cuomo. Ma invano. Ricorsi respinti e assoluzioni confermate. Per gli ermellini è incomprensibile il motivo per cui non vennero indagati i partecipanti alla rissa, ovvero alla zuffa durante il tentato furto, non sarebbe poi stato chiarito il tema nodale, quello su quando e da quali poliziotti sarebbe stato colpito Brunetti, e mancando qualsiasi certezza, anzi riabilitando anche l’ipotesi dell’autolesionismo, le assoluzioni sono state confermate. Nessuna verità. Solo la condanna per i familiari della vittima, costituiti parte civile, a pagare le spese del processo.