“Ogni giorno vengono riportate dai giornali nuove segnalazione di femminicidi. E le donne non sono le uniche vittime. Ci sono anche i bambini. Prima del gesto estremo c’è sicuramente una storia di violenza psicologica e fisica in quella famiglia. Gesti di follia in cui i bambini sono spesso coinvolti. E’ definita violenza assistita “il fare esperienza da parte del/lla bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti. Cosi come di particolare gravità è la condizione degli orfani denominati speciali, vittime di violenza assistita da omicidio, omicidi plurimi, omicidio-suicidio. Il/la bambino o l’adolescente può farne esperienza direttamente (quando la violenza/omicidio avviene nel suo campo percettivo, indirettamente (quando il/la minorenne è o viene a conoscenza della violenza/omicidio) e/o percependone gli effetti acuti e cronici, fisici e psicologici”.
Cosa si può fare?
Lo spiega Monica Sansoni: “Ascoltare le emozioni altrui. Utilizzare l’Ascolto empatico che implica la sospensione di giudizi morali. Spesso il bambino ha paura di parlare e l’adulto ha paura di ascoltare. L’adulto è imbarazzato ed in difficoltà ad affrontare un determinato argomento e crea barriere nella comunicazione e quindi nell’ascolto. Condividere con un adulto di riferimento. Interrompere la situazione di violenza intrafamiliare. Attivare un sostegno sociale. Mettere in atto di interventi che possano riequilibrare il senso di ingiustizia. Rielaborare l’esperienza traumatica mediante percorsi psicoterapeutici. Usufruire di percorsi di sostegno alla genitorialità e allo sviluppo di capacità protettive”.