RIPRIVATIZZANO SOTTOTRACCIA
Come? approvando il decreto “Sblocca Italia” con doppio voto di fiducia (cioè: “se non passa, tutti a casa”) che in sostanza punta ad accentrare in poche, potenti mani private (società quotate in borsa) il controllo, estromettendo il più possibile i Comuni, cioè i poteri pubblici locali.
Un aggiramento dei referendum con cui massicciamente gli italiani a giugno 2011 hanno deciso che l’acqua è un bene universale, da gestire sotto il controllo di loro rappresentanti pubblici e senza lucro. Il fiocchetto finale all’operazione spetta alla Legge di Stabilità in fase di discussione: far sì che i Comuni si tolgano di mezzo, allettandoli con la possibilità di spendere i soldi incassati dalla svendita delle proprie partecipazioni nelle gestioni idriche, in deroga al rigorosissimo Patto di stabilità che limita moltissimo la possibilità di spendere, persino se i soldi in cassa ce li hanno. Ma non basta.
IL MISTERO DELL’ARTICOLO SPARITO
Il 13 novembre scorso la Camera dei deputati ha votato il “collegato ambientale” alla Legge di Stabilità 2014. Scorrendo l’ordine delle norme ci si accorge che dopo l’articolo n. 25 si passa direttamente all’articolo n. 26-bis. Non esiste l’importante articolo numero 26, inizialmente previsto. È stato soppresso misteriosamente, tra l’altro senza neanche correggere la numerazione successiva, malgrado il fatto che la discussione tra i parlamentari su quello specifico punto fosse stata alquanto accesa. Di che cosa si occupava quell’articolo? Di una questione estremamente delicata, la fornitura di acqua potabile, ma che coinvolge anche la sempre più scadente qualità della nostra democrazia. La legge in questione all’inizio era un decreto voluto dall’allora governo Letta che intende incentivare la “Green Economy”; una sorta di “omnibus” normativo dove sopra ci è stato caricato un po’ di tutto. Di conseguenza per elaborare il testo definitivo sono state interessate diverse Commissioni parlamentari. L’articolo specifico è toccato a quella che si occupa di Ambiente ed è presieduta da Ermete Realacci (PD). Durante la discussione era stato approvato un passaggio particolare: attraverso una delibera dell’AEEGSI (Autorità per l’Energia Elettrica, Gas e Servizio Idrico) da emanarsi entro 90 giorni dall’approvazione dell’intera legge, si regolavano le cosiddette morosità degli utenti che non pagano le bollette e l’eventuale riduzione di flusso (non si parlava più di distacco) da parte dei gestori. Materia scottante quindi, visto che con la parola morosità i gestori stessi tendono a fare di tutta un’erba un fascio. In realtà ci sono diverse categorie di utenti che non pagano. Ci sono i morosi veri, i furbetti che appartengono spesso alla stessa Casta e suoi dintorni (ad es. il Caffè ha pizzicò, allacciata ma senza contatore, la sede di Forza Italia ad Aprilia, partito del senatore allora presidente di Acqualatina… ), agli “amici degli amici”, ai collusi con il potere, ai procacciatori di voti e preferenze che godono di un’autentica immunità dall’essere ricercati e perseguiti dai gestori per ovvii motivi politici. Poi ci sono gli utenti indignati con l’attuale gestore che continuano a pagare il vecchio gestore, non riconoscendo la legittimità di quello subentrato ecc. Infine, c’è chi per mancanza di reddito non ce la fa a pagare.
OK AI DISTACCHI CONTRO I POVERACCI
Ed era per tutelare soprattutto quest’ultima fascia di utenze che interveniva l’articolo n. 26 “desaparecido”. Esso da un lato precisava che va salvaguardato l’equilibrio economico e finanziario delle gestioni (ossia il ripiano del bilancio attraverso le bollette, a prescindere da risultati e qualità del servizio), mentre dall’altro impediva i distacchi indiscriminati. La disposizione scomparsa stabiliva che al massimo le utenze domestiche morose (senza distinzione) potevano essere penalizzate con una riduzione del flusso idrico, garantendo comunque almeno 50 litri al giorno per ogni membro del nucleo familiare. Quello che per legge devono fare i gestori di altri servizi non essenziali, energia elettrica, telefono e gas: una riduzione, non il blocco totale del servizio. A maggior ragione questa regola dovrebbe valere per il servizio idrico al quale sono inscindibilmente legate le esigenze igieniche ed alimentari di ogni essere umano. Invece la Casta ha abbassato come sempre il capo ed ha ubbidito. L’accusa è pesante, ma poggia su precisi dati di fatto.
QUALE OSCURA MANINA C’è DIETRO?
Nella stessa Commissione la proposta di sopprimere l’art. 26 era già stata avanzata in precedenza dal deputato Paolo Grimoldi (Lega Nord), ma era stata respinta dalla maggioranza che sostiene il governo Renzi. Eppure nell’ultimo passaggio in aula per l’approvazione dell’intera legge, l’articolo 26 risultava “soppresso”. Da chi, dove e quando lo sia stato non si sa perché di riunioni della Commissione Ambiente su quello specifico testo non ce ne sono state altre dopo il 4 settembre, quando sono stati approvati tutti gli articoli. L’unico incontro che c’è stato nel frattempo era quello tra relatori nelle varie Commissioni e per quella dell’Ambiente c’era l’On. Alessandro Bratti (PD), attuale Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul traffico dei rifiuti. Riunione che di solito si fa per coordinare i vari pezzi della legge così come usciti dalle votazioni delle rispettive Commissioni.
In tale sede tali relatori hanno deciso di sopprimere proprio e solo quell’articolo. Cosa non prevista da alcuna procedura parlamentare. Lo hanno fatto di loro iniziativa? Difficile crederlo. Ora il testo “monco” dell’articolo 26 è al vaglio del Senato e c’è tempo fino al 31 dicembre per approvarlo o modificarlo.
Asserviti alle lobby, violano leggi e Costituzione
La Repubblica italiana “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” recita l’art. 32 della Costituzione. Ma, sembra di capire da questa strana prassi parlamentare, che prima ognuno si deve procurare i soldi per pagare la bolletta. Anche se ti danno l’acqua all’arsenico, torbida o a singhiozzo. Anche se il DPCM 4 marzo 1996 prevede per gli usi domestici almeno 150 litri di acqua al giorno pro-capite (intesa come quantità prelevabile nell’arco di 24 ore) e una portata minima erogata al punto di consegna non inferiore a 0,10 litri al secondo (ovvero 6 litri al minuto).
Rottamano la nuova e buona legge del Lazio
“‹Il Consiglio Regionale del Lazio il 17 marzo scorso aveva votato all’unanimità (si badi bene) la legge regionale per una gestione pubblica e partecipata del servizio idrico in osservanza di quanto stabilito dai cittadini con i referendum del 12 e 13 giugno 2013. Meno di tre mesi dopo, venerdì 6 giugno, il Consiglio dei Ministri ha deciso d’impugnare la legge perché ritenuta in contrasto addirittura con l’art. 117 della Costituzione italiana. Già allora si era capito da quale parte sta l’attuale governo.