Due donne si trovano nella Capitale nel febbraio del 1743: cercano la casa di un cardinale del loro paese, una per farvi la serva, l’altra invece per perorare la causa di beatificazione di un francescano, anch’esso del paese e da tempo in odore di santità (futuro S. Carlo, mistico del 600 e famoso nell’ambito romano). Ma il cardinal Corradini è morto a causa dell’epidemia di peste in corso nella città (i grandi freddi), in pieno Carnevale, con la città di Roma brulicante di spettacoli di ogni sorta. Nonostante i divieti specifici per le donne di recitare in pubblico e per di più in piena notte, anche se deluse dal mancato incontro, le due rievocano in un fitto dialogo i molti personaggi della loro storia. Il cuore della narrazione riguarda la vicenda personale di una donna figlia di contadini, Maria Valenza Marchionne, accusata e poi condannata di essere una finta santa. Si trattava della sorella minore di quello che poi nel 1959, quasi 300 anni dopo la sua morte, diventerà un santo vero (San Carlo da Sezze, per l’appunto, al secolo Giancarlo Marchionne), grazie al processo di beatificazione avviato dal Corradini. Una beatificazione che pare sia stata ritardata dalla vicenda legata alla sorella. La donna, costretta all’abiura della propria fede all’età di settanta anni e poi morta in carcere, risultava affetta da due imperdonabili difetti per la cultura dell’epoca: essere dotata di “spirito proprio” e saper scrivere. Inoltre era una suora francescana che aveva avuto l’ardire di diventare una badessa di un convento nel luogo dove era nata, pur essendo di origini umili. La storia si inserisce pienamente nelle “lotte religiose e di potere, caratteristiche del XVII secolo, che coinvolsero numerose vittime innocenti, in particolare donne, accusate o di quietismo depravato (concezione mistica della religione come passiva contemplazione di Dio) o di stregoneria. Si tratta quindi di una vicenda allo stesso tempo antica e moderna che interseca questioni sociali tutt’oggi aperte.