Ora l’ex dirigente ha nuovamente impugnato la sentenza a suo sfavore, costringendo il Comune di Ardea a dover pagare un avvocato.
La sentenza contro l’ex dirigente del comune di Ardea
Nella sentenza contro cui l’ex dirigente ha presentato ricorso si legge che «è incontestabile che l’elaborato redatto in data 7 aprile 2010 dal dottor -OMISSIS- con la prima prova scritta riproduce per circa i due terzi (12 pagine su 19) consistenti passi di altri autori […] i quali sono stati riportati pedissequamente e senza rimeditazioni e virgolettature, così da escludere ogni autonoma rielaborazione del candidato idonea ad esprimere il grado di preparazione e le capacità intellettive richieste a dimostrazione della idoneità ad assolvere le funzioni del posto da ricoprire».
L’ex dirigente contestava che la decisione dell’annullamento era arrivata troppo tardi, ben oltre i tre anni stabiliti dalla legge. Ma anche in questo caso i giudici avevano chiarito che «non è censurabile il comportamento dell’amministrazione che ha atteso la conclusione del contenzioso iniziato dal secondo graduato per avviare il procedimento di secondo grado avente ad oggetto la rimozione del dottor -OMISSIS- dalla graduatoria finale.
Nel caso di specie, pertanto, il momento in cui inizia a decorrere il termine (ragionevole) per l’esercizio dell’autotutela deve essere identificato nella pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 1021 del 15 marzo 2016, che ha definitivamente accertato che l’elaborato scritto presentato dal dottor -OMISSIS- era frutto di plagio o copiato».
Tempo “ragionevole”
Considerata la complessità della vicenda, «l’innestarsi di ulteriori contenziosi (fra cui il giudizio risarcitorio avviato dal secondo graduato dopo il riconoscimento della illegittimità della graduatoria, conclusosi con la sentenza del Tar Lazio del 2019), l’acquisizione di ulteriori pareri legali sui diversi profili coinvolti, nel caso di specie il termine non è stato eccessivo o irragionevole».
Troverebbero dunque motivazione le ragioni che consentono di far prevalere gli interessi pubblici sull’interesse del privato al mantenimento del posto di lavoro. «La gravità dell’illegittimità accertata finisce col mettere in dubbio la stessa idoneità del candidato, nominato vincitore sulla base di una prova scritta manipolata o svolta in maniera fraudolenta».
«Per cui la prova concorsuale non ha potuto svolgere la sua tipica funzione: quella di individuare il migliore candidato e quindi il più idoneo a svolgere i compiti che gli saranno assegnati nel corso del rapporto di lavoro. Appare del tutto evidente, quindi, l’attualità dell’interesse pubblico a porre rimedio all’illegalità accertata».
Intanto si torna in tribunale.
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