Pasquale Maietta, Giorgia Meloni, Gianni Alemanno e altri 13 esponenti di Fratelli d’Italia hanno sostenuto che la legge del 2009, con cui l’Italia ha messo uno sbarramento al 4% per le elezioni europee, è incostituzionale e che il loro partito è stato messo fuori gioco nonostante avesse raccolto oltre un milione di preferenze, raggiungendo la percentuale del 3,66%. I “fratelli” hanno inoltre specificato che sarebbero stati penalizzati anche dal sistema dei cosiddetti resti e che senza tali paletti posti dall’Italia avrebbero avuto tre seggi. E un posto sarebbe andato proprio al latinense Maietta, che con le sue 9.700 preferenze è stato il terzo più votato di FdI a livello nazionale.
L’assegnazione dei seggi dopo le elezioni del 25 maggio 2014 è stata così impugnata dai candidati di Fratelli d’Italia, ma lo scorso anno il Tar ha dato loro torto e, ritenendo il ricorso infondato, li ha pure condannati a pagare ventimila euro di spese legali. Hanno fatto appello contro l’Ufficio elettorale centrale nazionale, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’interno e quello della giustizia, e ora la V sezione del Consiglio di Stato, presieduta dal giudice Giuseppe Severini, ha ritenuto rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale posta dagli esponenti di FdI e rimesso gli atti alla Consulta. Per Maietta e gli altri si è aperto un primo spiraglio.