Quella che stiamo per raccontarvi è una storia di torri merlate, pure sorgenti d’acqua, cavalieri templari, nobili famiglie romane, estati dorate di Papi più o meno ricchi, debiti e principesche riscossioni, antiche planimetrie e artistici restauri d’un luogo incantato. Non sempre le favole iniziano con c’era una volta in un regno lontano.
Questa la racconta al Caffè di Roma il prof. Dario Del Bufalo, architetto, collezionista e massimo esperto di marmi antichi e colorati, che nel 2003 ha rilevato e ristrutturato il Castello della Cecchignola.
“Abbiamo presentato un progetto di restauro al Ministero dei Beni e Attività Culturali – dice – e sotto la sorveglianza della Sovrintendenza abbiamo eseguito lavori fondamentali: i tetti erano tutti rovinati, alcuni cadenti, molti dei serramenti non esistevano. E’ stato un restauro importante. All’inizio la Sovrintendenza era molto critica e attenta ma, dopo il primo anno di lavoro insieme, hanno capito che lavoravamo anche meglio dei loro standard, usando calci antiche, calci spente, pozzolane e tufi della zona, rispettando molto il tipo edilizio”.
Sembra un biondo re celtico l’architetto, appartenente all’antica famiglia dei conti Del Bufalo, che inizia così il suo racconto: “il castello era un vecchio castrum romano di servizio alla torre, all’interno della torre alta 50 metri e ben visibile, c’è una torretta romana di quattro metri per quattro, il cuore su cui sono state poi montate altre strutture. La torre romana era parte del sistema turrito militare di difesa, come tutte le torri dell’impero romano. Questa era Tor Cicognola ed era collegata a Tor Carbone, a Tor Pagnotta, tutte in portata ottica o acustica una con l’altra”. E poi? “Poi, con il disgregamento dell’impero romano, nel medioevo ci sono state le guerre baronali, le guerre fra bande, e qui si sono rifugiate alcune famiglie. Nel 1200 è stato anche sede dei cavalieri templari dell’ordine di Gerusalemme. La particolarità di questo castrum, rispetto a tante altre torri romane che sono state abbandonate, è che qui c’era l’acqua: qui sotto c’è una sorgente di acqua potabile che arriva dai Castelli, praticamente minerale. Fu il Duce a tagliare l’acqua che entrava in questo laghetto peschiera, tanto promosso dalla famiglia Margana di Roma alla metà del 1400, e ai bordi del quale ha vissuto per lungo tempo il cardinal Bessarione. Nel 1938 quest’acqua fu incanalata e portata ad alimentare il laghetto dell’Eur.”
E’ dunque in virtù d’una magica sorgente che questa dimora fu per secoli oggetto di premura e dedizione. “Tante famiglie si sono succedute alla proprietà, al mantenimento e all’allargamento delle corti e delle costruzioni del castello, per cui – continua l’architetto – parlavo prima dei Margana, famiglia romana che ha avuto per quasi un secolo questa proprietà, poi ci sono stati i Colonna ed i Borghese con Paolo V. Quest’ultimo la acquistò nel 1615 con soldi propri e, con l’aiuto del cardinal nipote Scipione, fece lavorare qui i grandi architetti del tempo, contribuendo al restauro e all’imbellimento di tutta la proprietà. Poi i Pamphili che qui avevano la residenza estiva e produttiva agricola e nelle grotte avevano i vini che non riuscivano a tenere a Roma. Papa Leone XII della Genga intorno al 1810-15 usò questa dimora come residenza estiva e luogo di caccia. Non era ricco come i Borghese, per cui la fece comprare al Vaticano. Proprio negli archivi segreti vaticani – si interrompe l’architetto Del Bufalo – ho ritrovato dei documenti molto importanti: mappe, planimetrie, vedute a volo d’uccello molto belle che mi hanno aiutato per i restauri.”
I Torlonia, infine, per aver prestato alla Chiesa i fondi per difendersi da Napoleone, dopo la liberazione, “bussarono in Vaticano e dissero – beh! Ridateci questi soldi con gli interessi – ed è stata la grande fortuna dei Torlonia, per cui ricevettero questa come tante altre proprietà qui a sud di Roma”.
Laddove, per principio o per magia, ciascuno cooperò per raggiungere armonia e magnificenza, oggi vive il nostro narratore, promuove eventi culturali e, una volta al mese, nella bella stagione apre al pubblico la porta del castello. “C’è una biblioteca – aggiunge – che era la mia biblioteca. Sono 5000 volumi tutti specifici sull’arte e l’architettura di pietre e marmi, e la si può venire a consultare su appuntamento, ci sono anche libri molto rari su questo argomento”.
Giunti all’ultima pagina di questa lunga storia, resta il dubbio che qualcosa sia sfuggito, e che dal buco della serratura si possa osservar meglio, ciò che al primo sguardo va perduto. In lontananza appare, soltanto a chi ha nel cuore la leggenda, una spada appoggiata su una tavola rotonda. Perciò a piè di pagina, per non dimenticare, annotiamo quanto vi fu inciso e mai ebbe fine: “nel servirci l’un l’altro diveniamo liberi”.
Patrizia D. Artemisio