Imponente, ma talmente ben mimetizzato tra la vegetazione che potreste sbatterci contro senza accorgervi di averlo trovato: è l’Acquedotto romano degli Arcioni.
Si articola lungo undici campate con arcate che poggiano su dieci piloni di altezza varia e due strutture terminali, poste alle estremità, sulle quali era posto lo speco, cioè il cunicolo superiore dove scorreva l’acqua.
L’acquedotto romano, o meglio la sua parte ancora oggi in piedi, per circa sessanta metri lineari, oltrepassa un torrente, ormai completamente prosciugato per la maggior parte dell’anno, nel quale confluivano le acque provenienti dai Campi d’Annibale.
Siamo, infatti, nel territorio di Rocca di Papa a poco più di un chilometro dalla località conosciuta come Pentima Stalla.
L’invisibile acquedotto romano degli Arcioni
L’opera è conosciuta e studiata sin dal 1800 (vi sono persino quadri dell’epoca che la raffigurano), ma, sebbene di enormi dimensioni, soprattutto in riferimento ai piloni maggiori, è oggi praticamente invisibile, in quanto completamente avvolta dalla vegetazione.
La zona, inoltre è priva di qualsivoglia indicazione stradale, anche se, l’ingresso del sentiero in realtà è ad un centinaio di metri da una strada comunale asfaltata ed affiancata da numerose abitazioni. Si entra nelle vegetazione da via delle Rose, dopo circa due chilometri dal suo inizio, all’altezza di un ponticello.
Forse è per questo che gli abitanti della zona conoscono l’esistenza dell’acquedotto romano (detto degli Arcioni), ma in pochi ormai sanno dove sia esattamente.
Soltanto in inverno, quando la vegetazione diminuisce, è possibile, per chi guarda con attenzione, scorgere i due o tre archi di maggiori dimensioni.
Solo andando proprio sotto ai piloni è possibile ammirarne oggi tutta la bellezza e grandezza ed è una passeggiata agevole e consigliata a tutti.
Questo è tutto quello che si possa dire, con certezza, su questo acquedotto antico romano, perché oltre alle undici campate oggi (poco) visibili, non è dato sapere nulla di certo, né da dove provenisse, né dove andasse.
Procediamo allora con le ipotesi.
Ma chi l’ha costruito?
Un recente studio ha evidenziato che l’acquedotto degli Arcioni presenta numerose analogie con l’acquedotto Alessandrino, a Roma.
Affinità sia per la fattura delle volte, che per quanto riguarda le dimensioni in lunghezza dei piloni: 8 piedi, dove un piede romano equivale a 30 cm. Anche l’interasse tra le campate (12 piedi) e la presenza degli speroni alla base sono elementi che potrebbero collegare le due strutture.
Però vi sono anche numerose differenze, tra cui ad esempio la forma dei piloni. Le nervature delle volte, ha rilevato questo studio, risultano del tutto identiche nei due acquedotti.
Si potrebbe, quindi, ipotizzare che il periodo di costruzione fosse all’incirca lo stesso.
Sappiamo con certezza che l’acquedotto Alessandrino fu fatto edificare dall’imperatore Alessandro Severo nel 226 d.C., dunque anche l’acquedotto degli Arcioni potrebbe essere datato intorno a quegli anni.
Dove portava l’acqua?
Vista l’ipotetica datazione, sembra escluso che l’acquedotto degli Arcioni servisse la villa di Domiziano di Alba Longa (ora tra Albano e Castelgandolfo), perché questi regnò dal 81 d.C. al 96 d.C. e dunque oltre un secolo prima rispetto ad Alessandro Severo.
Tuttavia, un altro “indizio” potrebbe portare sempre ad Albano.
L’enorme cisterna di Albano, conosciuta come “I Cisternoni“, infatti, fu fatta costruire dall’Imperatore Settimio Severo, che regnò dal 193 d. C. al 211 d.C. Ad uso della legione Partica furono edificati “i Castra albana” e così anche la grande cisterna idrica.
L’imperatore, per tutela personale, volle appunto che la sua Legione preferita, la II legio Partica, si stabilisse ad Alba Longa, contravvenendo alla legge che prescriveva che nessun uomo armato potesse entrare in Italia e tantomeno un’intera Legione.
Ma Settimio Severo era l’Imperatore e la legge poteva farla e disfarla a piacimento!
Inoltre, la guardia pretoriana, creata proprio per proteggere l’imperatore, aveva preso la strana “abitudine” di eliminare l’imperatore di turno, per cui Settimio Severo si tutelò, ponendo un’intera Legione e pochi chilometri da Roma, quale monito per tutti coloro che la pensassero diversamente da lui!
Un ostacolo da superare
Dunque, tornando ai nostri problemi di datazione, il “Cisternone” è anteriore di pochi anni alla costruzione dell’Acquedotto Alessandrino, che tanto somiglia al nostro, il quale, quindi, potrebbe essere stato costruito proprio per dissetare, tramite il Cisternone, la II Legione Partica.
Gli studiosi, però, recentemente, hanno rilevato che la quota assoluta del cunicolo ove scorreva l’acqua dell’acquedotto degli Arcioni si aggira attorno a m. 515 slm., mentre quella della via dei Laghi all’ altezza di Palazzolo, che avrebbe dovuto scavalcare per arrivare ad Alba Longa, risulta essere ben più alta: m. 587 slm. E, come è noto, i romani non costruivano i propri acquedotti in salita!
Ma anche anche questa circostanza non sembra risolutiva per escludere l’ipotesi che condurrebbe l’acqua degli Arcioni verso il “Cisternone”, perché conosciamo bene l’abilità dei Romani nel costruire gli acquedotti non solo con grandi arcate, ma anche con tunnel sotterranei (ipogei), che avrebbero potuto tranquillamente ovviare al “salto di quota” di 70 m.
Le abilità di ingegneria idraulica dei romani
Ricordiamo, ad esempio, che la profondità massima dell’emissario del Lago di Castelgandolfo è di 170 metri e che lo stesso fu costruito dai Romani molti secoli prima del “nostro” acquedotto (intorno al 400 a. C.) per mantenere costante il livello del lago, scaricando le acque dello stesso in un fosso sotto Castelgandolfo, che volge verso il mare.
È certo, inoltre, che l’Acquedotto degli Arcioni procedesse sottoterra, viste le strutture terminali presenti, nonché la totale mancanza, in zona, di altri archi o strutture esterne che potrebbero far pensare ad acquedotti.
Lungo la cresta del lago di Albano, ancora, sono ben visibili, in più punti, proprio i resti di un acquedotto sotterraneo che andava dalla zona di Palazzolo in direzione di Albano.
Un’altra ipotesi sull’acquedotto romano
Esiste però anche un’ulteriore ipotesi, verso cui protendono attualmente gli studiosi, secondo la quale l’acquedotto degli Arcioni serviva una grande cisterna rinvenuta agli inizi del ‘900 nella zona al bivio tra Via delle Barozze e Via di Frascati, della quale conosciamo le dimensioni: m. 21,20 di lunghezza e m. 8 di larghezza.
È inoltre certo che nella zona fossero presenti (e lo sono ancora) numerosi cunicoli per la raccolta delle acque.
Da questa cisterna, poi, l’acqua, attraverso un percorso sotterraneo (comunque non individuato) avrebbe potuto raggiungere Squarciarelli, dove sarebbe confluita nella cosiddetta Acqua Giulia, destinata a rifornire le Terme di Caracalla (216 d. C.). Anche in questo caso, è evidente, i tempi sarebbero compatibili con le datazioni indicate sopra.
Se, dunque, abbiamo almeno un paio di ipotesi sulla destinazione dell’acqua dei nostri “Arcioni”, dove il nostro acquedotto prelevasse l’acqua è completamente un mistero.
In proposito, possiamo soltanto dire che la zona, all’epoca, era molto ricca di acque e che i Romani erano abilissimi a convogliarle e a non sprecarle. Abilità che oggi scarseggia, perché la storia è una grande maestra, ma non ha scolari, come disse un giorno Antonio Gramsci.
Potremmo dunque ipotizzare che le fonti cui attingeva l’acquedotto romano degli Arcioni erano locali o comunque non molto lontane dalla zona.
Tante ipotesi, dunque, su chi l’abbia costruito, dove attingesse l’acqua e dove la portasse. Molti misteri avvolgono questo acquedotto “fantasma”, difficile da trovare, difficile da attribuire. È incredibile che ai Colli Albani tanta storia ci viva così accanto, senza quasi che noi ce ne accorgiamo.
Se volete trovare l’Acquedotto romano degli Arcioni.
Per trovare l’acquedotto dovete percorrere via delle Rose, a Rocca di Papa, fino al punto in cui incrocia via dei Papaveri.
In quel punto c’è un ponticello e già in quel punto, specie d’inverno, potreste scorgere qualche arco dell’acquedotto degli Arcioni. In primavera e d’estate, con la vegetazione rigogliosa, diventa più difficile.
Di fianco al ponticello parte una stradina sterrata in salita, dove c’è anche una bacheca con alcune cassette postale. Basta salire per una ventina di metri e trovate sulla vostra destra l’ingresso di un sentiero che si inoltra nel bosco.
Il percorso non è molto battuto, pertanto potreste trovare difficoltà con la vegetazione. Dopo 50 metri trovate i piloni dell’acquedotto. Non è facilissimo vederli, perché perfettamente mimetizzati. Sono solo i resti di una grande antica opera: la gita vale il prezzo del biglietto.
Gaetano Trezza
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