IL PAPA, ZEPPA, FAZZOLETTO E FAZZOLETTINO
Sulle barche attraccate si incontrano Pordenone e Capo bomba, (Mario e Carlo Cozzolino) rispettivamente zio e nipote. «Rammenda la rete da quando è piccolo – rivela Mario -. È stata una delle prime cose che il papà gli ha insegnato. Deve il suo soprannome Capo bomba alla forma della testa molto grande. Io invece sono Pordenone perché ho fatto l’imbianchino per qualche tempo lassù». Poi c’è Lallero (Claudio Di Lello), che da giovane jeva semp a ballà e Roberto (Masci) Zeppa, costretto a portare una scarpa con un supporto di circa 10 centimetri perché all’età di circa due anni fu investito da un mezzo militare americano rimanendo offeso alla gamba destra. Anche Antonio Marigliani, il Papa, deve il suo nomignolo ad un difetto fisico: da bambino perse due dita nell’officina dello zio, l’anulare ed il mignolo della mano destra. Ora che lui è andato in pensione come pescatore, per tutti il Papa è il figlio Raffaele. Fazzoletto è il soprannome di Cesare Di Cristoforo, ereditato dal nonno che per proteggersi dal sole metteva sulla testa un fazzoletto, affianco alla sua barca quella del figlio Alberto: fazzolettino.
I SOPRANNOMI SUPERANO LE GENERAZIONI
«Quando nel 1700 Pio VI fece un bando per favorire il popolamento di pescatori della Terracina bassa, in tanti dalla Campania e dalla Calabria arrivarono qui – raccontano Razzo storto Gianni Percoco (soprannome preso dal padre che aveva una cicatrice sulla fronte) e Sergio Cerilli, 92 anni e per tutti Pasta nera, per via della pelle sempre abbronzata –. Marigliani, Marzullo, Di Sauro, Cerilli, Percoco, Esposito sono solo alcune della famiglie arrivate dalla costa campana. Alla, Bonavita e Cicerani sono invece originari della Calabria. Anche per identificare le diverse ramificazioni generazionali si usavano i soprannomi. I Percoco, per esempio, giocando con il dialetto terracinese (percoca, albicocca n.d.r.), si distinguevano in “Percoco con la mandorla dolce e con la mandorla amara”, per far riferimento al carattere della persona. Sono Percoco baccalà (Guido), con un animo buono ma litigioso, i fratelli terremoto (Elio ed Eramo) nati a solo un anno di distanza all’inizio degli anni ’20 ed entrambi terribili; Maciste (Giuseppe) piccolo e forzuto, morto nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Alcuni dei Cerilli invece erano Pucitt, come per esempio miei due zii che erano piccoli, ma camparono fino a 96 anni», dice Pastanera. Con l’arrivo dei pescatori, nacque così il quartiere marinaro delle case popolari Borgo Pio e nel 1925 fu costituita la prima cooperativa di pescatori “La Sirena”, il cui primo presidente fu Alessandro Cerilli (Poce, da Pucitt), nonno di pasta nera.
AMMAZZA AMMAZZA, SO TUTTI NA RAZZA
Ci sono poi soprannomi che affondando nel folklore e la cui fama non conosce tempo. Come per alcuni protagonisti di eventi bellici: Smith (Luciano Masci), che nel suo racconto di salvataggio di un pilota americano precipitato in mare ricordava come il sopravvissuto ripetesse sempre “Smith Smith”, o Zeccone (Vittorio Di Fazio) di rientro dal fronte quale reduce della battaglia navale del Matapan in Grecia del 1941. Ricorrono pagine di storia popolare tutta terracinese nel soprannome paparozza dedicato ai Di Sauro, campioni di cattura delle papere, uno dei giochi organizzati in occasione della festa della Madonna del Carmine; diventava vavera cotta per appellare poi un “mangia papere”. Tra gli amici di tutti i giorni ci sono poi Bubulicchie e Magagà (Augusto Perroni e Antonio Cicci), così detti per i problemi di balbuzie; pallone (Vincenzo Di Sauro), noto per gonfiare i suoi racconti; il prete (Ferdinando Martinelli), che da giovane faceva il chierichetto in prospettiva di prendere i voti (che poi non prese più). E così via, all’infinito. «Nel dopoguerra era la solidarietà a fare la padrona nel settore della marineria. Qui era tutta una famiglia e, come è inevitabile che accadesse, le varie razze si sono imparentate. Da qui il detto: A Terracina ammazza ammazza, so tutti na razza», sorride Razzo storto.
UN SETTORE IN CRISI
Oggi i pescatori a Terracina sono meno di cento. «La causa principale della crisi è l’impoverimento ittico del mare. A questo si aggiungono i vincoli normativi in vigore e derivanti dal contesto europeo che equipara le navi oceaniche ai pescherecci locali – spiega Gianni Percoco assessore alle attività produttive –. Altro elemento di criticità è il ricambio generazionale che però è una conseguenza». Fondamentale diventa il ruolo delle cooperative che a Terracina sono due. «Attraverso le cooperative i pescatori trovano un supporto per i contributi assistenziali, il carburante, le cassette del pescato. Inoltre costituiscono il punto d’incontro tra pescatori e commercianti con l’asta. Nonostante le difficoltà non si può permettere che la pesca scompaia, a Terracina come altrove. È importante che le istituzioni statali e regionali prevedano sussidi di valorizzazione per la salvaguardia dei settori economici tradizionali che rappresentano la storia delle realtà locali».