I Finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dello Scico, insieme ai colleghi delle province di Latina, Roma, Asti, Milano, Piacenza, Parma, Caserta, Napoli, Bari, Brindisi e Lecce a un decreto di sequestro preventivo dell’intero patrimonio aziendale di tre società di capitali operanti nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili, per un valore complessivo stimato in circa 15 milioni di euro.
UNA STRUTTURA ORGANIZZATA
L’attività investigativa svolta ha permesso di scoprire l’esistenza di una struttura organizzata, attiva nel commercio di prodotti petroliferi, che aveva la finalità di evadere le imposte, in modo fraudolento e sistematico, sotto la direzione strategica di un commercialista campano e con la compiacenza di soggetti esercenti depositi fiscali e commerciali, avvalendosi del controllo capillare di tutta la filiera della distribuzione del prodotto, dal deposito fiscale ai distributori stradali.
IL BUSINESS DELLA ‘NDRANGHETA
Le investigazioni hanno inoltre consentito, in questa fase del procedimento penale e fatte salve le necessarie conferme nel merito, di delineare gli interessi della ‘ndrangheta, e di altre organizzazioni criminali siciliane e campane nella gestione del business del commercio di prodotti petroliferi – settore economico altamente remunerativo – sull’intero territorio nazionale, per il tramite di una vera e propria joint venture criminale volta alla massimizzazione dei profitti illeciti ai danni dello Stato e della libera concorrenza.
31 MILIONI DI EURO DI EVASIONE
Le società oggetto di indagine, tutte esistenti solo sulla carta, affermando fraudolentemente di possedere tutti i requisiti richiesti per poter beneficiare delle agevolazioni previste dalla normativa di settore, presentavano a un deposito fiscale in provincia di Reggio Calabria – volano della frode – la relativa dichiarazione di intento per l’acquisto del prodotto petrolifero senza l’applicazione dell’Iva. Il prodotto così acquistato, a seguito di complessi passaggi societari, veniva poi ceduto, a prezzi concorrenziali, a determinati clienti. Nel corso delle indagini è stato ricostruito un giro di false fatturazioni per un ammontare complessivo di oltre 600 milioni di euro ed Iva dovuta per oltre 130 milioni di euro, appurando l’omesso versamento di accise per 31 milioni di euro.
I proventi derivanti dalla frode venivano trasferiti verso una fitta rete di conti correnti controllati dall’organizzazione criminale, intestati a società di comodo o persone fisiche, da cui il denaro veniva in seguito trasferito verso società di comodo estere o prelevato in contanti e restituito (sempre in contanti) tanto ai membri dell’organizzazione quanto agli acquirenti del prodotto petrolifero.
I PROFITTI
I profitti illeciti, così ripartiti dai membri dell’organizzazione, venivano reinvestiti nel medesimo circuito criminale o impiegati in altre attività finanziarie e imprenditoriali così determinando un vorticoso giro di riciclaggio – autoriciclaggio, per un importo complessivo di oltre 173 milioni di euro. Parte di detto importo (per oltre 41 milioni di euro) veniva riciclato su conti correnti esteri riconducibili a società di comodo bulgare, rumene, croate e ungheresi, per poi rientrare nella disponibilità dell’organizzazione medesima. In questo contesto, ad aprile erano già state arrestate 23 persone.
“I successivi approfondimenti esperiti hanno permesso di accertare, allo stato ed in via indiziaria, come il sodalizio investigato, parallelamente alle descritte attività, si fosse prodigato per l’acquisto di un ulteriore deposito fiscale con cui proseguire ed ampliare il disegno criminoso”, si legge nella nota della Finanza. Allo scopo, l’organizzazione, reimpiegando parte dei proventi illecitamente accumulati, ha rilevato, per il tramite di una società di comodo a Milano, un deposito fiscale con sede in Bari e uno nella provincia di Parma.