IMMONDEZZAIO”ˆDI”ˆLOBBY
È impressionante quanto somigli a tante nostre inchieste ed articoli la storia delineata dagli investigatori. Carte truccate, forzature istituzionali, emergenze fatte a tavolino, ricatti, regali ai politici, tecnici delle società private controllate infilati in posti chiave degli organi pubblici controllori. E ancora: funzionari onesti e scomodi allontanati, rifiuti pericolosi mischiati con quelli urbani illegalmente, fatture gonfiate a danno dei Comuni e dei cittadini, plastiche, metalli e altri materiali sepolti anziché recuperati, ma fatti pagare come se trattati a tale scopo, concorrenza schiacciata con estenuanti e “pretestuose” scartoffie burocratiche… è un vero immondezzaio quello che il Gip Battistini descrive. I reati contestati sono molto gravi: associazione per delinquere, traffico di rifiuti, frode in pubbliche forniture, truffa in danno di enti pubblici, falsità ideologica (cioè menzogne sui documenti, persino foto di un disastro idrogeologico fatto per una discarica taroccate).
COMUNI TRUFFATI
Sono 4 i filoni dell’inchiesta: il più rilevante riguarda la discarica di Albano della Pontina Ambiente con il suo impianto TMB per estrarre la parte secca dall’immondizia e trasformarla in Cdr (Combustibile da rifiuti). Secondo le accuse, seppellivano illegalmente in discarica come scarto di lavorazione circa l’85% dei materiali portati dai Comuni (inclusi i materiali ferrosi e il costoso alluminio, buoni invece per il riciclaggio). Mentre secondo il piano regionale dei rifiuti almeno il 35% dovevano trasformarlo in Cdr. Ma ai Comuni facevano pagare il servizio pieno ad un prezzo più alto (imposto dalla ditta), come se fossero stati trattati al TMB e inceneriti. Risultato: almeno circa 11 milioni di euro dal 2006 al 2012 truffati ai Comuni e quindi ai cittadini dei Castelli Romani, compresi Pomezia ed Ardea. “In tal modo – spiegano i carabinieri – si provocava anche il prematuro superamento delle volumetrie disponibili in discarica”. Ecco perché queste vergognose fosse dei rifiuti non bastano mai. Il pensiero corre, ad esempio, al contestatissimo 7° invaso della stessa discarica: in uso dal febbraio 2012, dovrebbe durare 8 anni e l’Autorizzazione integrata ambientale prevede che ad oggi avrebbe dovuto avere non più di un quarto della portata autorizzata. E invece è già riempito per circa due terzi della capacità prevista: com’è possibile che sia? Se lo stanno domandando alla Procura di Velletri, che prosegue altre indagini. E i cittadini lo hanno chiesto all’assessore regionale all’ambiente Michele Civita, già assessore provinciale al settore quando l’invaso fu collaudato. Nessuna risposta. L’ingegnere di Genzano Guidobaldi Bruno, direttore tecnico di quel TMB, è indagato.
INCENERITORE DI ALBANO
Secondo carabinieri e magistrati, è l’emblema di Cerronopoli e di “come la pubblica funzione possa essere artatamente piegata agli interessi privati, sviando il potere dalla cura dell’interesse pubblico”. è l’inceneritore che il Consorzio Co.E.Ma., tra Cerroni, Ama e Acea (presso la cui sede romana ha sede la Pontina Ambiente…), voleva imporre e non è riuscito a realizzare presso la discarica di Albano: non serviva, non era previsto in quella zona dalla pianificazione ufficiale né c’era abbastanza Cdr per alimentarlo. Ma la lobby malata ha forzato in tutti modi per farlo autorizzare lì, “con palesi falsi documentali”, ribaltando lo stop per l’eccessivo impatto ambientale opposto da un funzionario poi rimosso: “una colossale montatura, priva di reali contenuti”, “un lungo iter amministrativo frutto di un concerto criminoso” tra la lobby, funzionari regionali e politici.
POLITICI CERRONISTI
Tra i quali in prima linea il deceduto Mario Di Carlo e l’ex presidente dell’Ama Giovanni Hermanin (unico politico accusato del grave reato di associazione a delinquere), entrambi già presidenti regionali di Legambiente, ex leader dei Verdi e assessori a Roma e poi regionali. Cerroni e il suo avvocato Avilio Presutti, “dettavano contenuti degli atti pubblici da emanare”, scrive il giudice. E qui brilla Piero Marrazzo: ad ottobre 2008 firma un’ordinanza commissariale senza avere più i poteri di Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti. “La circostanza più incredibile – scrive il Gip – è che Marrazzo firma l’ordinanza come se fosse ancora il Commissario delegato […] le strategie di massima venivano indicate da Piero Marrazzo. In questo senso v’era un’unità d’intenti tra la parte politica e quella imprenditoriale. Il presidente e commissario Piero Marrazzo, attraverso gli atti compiuti in precedenza, aveva dato un chiaro segnale in tal senso aprendo la strada e spianandola a quelle procedure finalizzate a far piovere gli incentivi CIP 6 sull’impianto di Albano”. Sblocca insomma il progetto. Come? “L’ordinanza presidenziale – chiarisce il giudice – è stata partorita praticamente sotto dettatura da parte dei destinatari del provvedimento”, cioè Cerroni & co. Se entro il dicembre 2008 non aprivano i cantieri, avrebbero perso gli ingenti sussidi pubblici Cip6. E mentre Marrazzo il 27 luglio 2008 – due giorni prima del suo 50° compleanno – andava a colazione con Cerroni, nelle intercettazioni emerge pure Esterino Montino, vice di Marrazzo, che appare come favorevole all’impianto e prestato alla causa, attivo nella “negoziazione politica”: “aveva suggerito di proporre una contropartita all’assessore Filiberto Zaratti in cambio di un presumibile appoggio politico alla realizzazione dell’opera”. Afferma ancora il Gip: il dirigente De Filippis che “fungeva da raccordo tra la politica, ossia Di Carlo ed Hermanin, e la parte burocratica”, cercava “conforto da parte dei vertici politici regionali, Esterino Montino in testa”.
EMERGENZE FATTE”ˆAPPOSTA
“L’attività del Gruppo Cerroni – si legge nel provvedimento di arresto – si è sempre connotata per la ripetitività del modus operandi: operare sempre in modo da realizzare gli impianti prima di ottenere le autorizzazioni ovvero sulla base di titoli autorizzativi provvisori o sperimentali, in modo da indurre/costringere le amministrazioni ad adeguare la situazione di diritto a quella di fatto (pena il determinarsi di una emergenza rifiuti paragonabile a quella di Napoli), e sfruttare situazioni emergenziali (commissariamenti e ordinanze contingibili e urgenti), al fine di aggirare l’obbligo di rispetto della normativa nazionale e regionale, nonché di realizzare e consolidare una posizione di sostanziale monopolio nella Regione Lazio”. È il caso della discarica dei Monti dell’Ortaccio, vicino Malagrotta: bottino almeno 8 milioni di euro. Risultato: territorio stravolto, scavo oltre i limiti consentiti tanto da deviare il corso della falda acquifera e creare un laghetto. Scempio idrogeologico occultato poi sulle foto allegate alla richiesta di autorizzazione della discarica stessa. Ricordate i camion compattatori più volte bloccati dai padroni della discarica di Latina Borgo Montello all’ingresso della discarica targata Cerroni? È successo ad esempio con la spazzatura di Anzio, in pieno agosto quando la città turistica raddoppia le presenze. Quel Comune ha osato affidare la propria immondizia alla Rida Ambiente di Aprilia, rivale di Cerroni. A leggere quanto scrivono Gip e carabinieri forse intuiamo perché: “Cerroni e il suo storico collaboratore Landi, con la complicità di funzionari della pubblica amministrazione, ponevano in essere una serie di condotte illecite volte ad impedire alla società Rida Ambiente Srl, concorrente di Cerroni, di entrare sul mercato”. E in Regione c’era i fidi funzionari pronti a confezionare l’autorizzazione per smaltire nelle loro discariche i rifiuti indifferenziati “tal quali”, non trattati, sebbene la legge lo vietasse. In tale contesto spunta il sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi, anch’egli “costretto” dalla legge a firmare la delibera per far lavorare l’immondizia di Latina presso i concorrenti di Cerroni ad Aprilia. «Io voglio ritirare la delibera, capito?… io non voglio andare a conferire in RIDA», dice il sindaco in un’intercettazione “a Landi (boss della discarica cerroniana, ndr) che telefonicamente manifestava al primo cittadino il suo dissenso”.
LA”ˆBOMBA”ˆNON”ˆFINISCE”ˆQUI
Fermo restando che bisogna aspettare il processo e la sentenza, Cerronopoli è scoppiata. Ci sono voluti 5 anni di lavoro della Procura della Repubblica di Velletri – tuttora al lavoro su questa lobby – e poi di Roma e pure della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, e dei segugi del Noe del Comando Carabinieri per la tutela dell’ambiente guidato, guidato da “Ultimo”, l’ufficiale che arrestò Totò Riina, affiancato dal Capitano Pietro Rajola Pescarini (che mise i sigilli all’inceneritore fasullo di Colleferro sul quale venivano truccati via internet dalla Toscana i dati degli inquinanti). E c’è voluta anche la resistenza di cittadini come quelli del Coordinamento contro l’inceneritore dei Castelli Romani; le loro tenaci e approfondite ricerche hanno fornito fondamentali piste e documenti ai magistrati penali. Mentre i politici locali stavano a guardare o a contrastarli, persino con minacce. Da sempre il Caffè si espone raccontando simili faccende, affrontando pressioni di vario tipo anche pesanti. Ecco perché, purtroppo, non ci stupiscono gli arresti del 9 gennaio.