Perché?
«In primo luogo per il fatto che i contratti sono stagionali, che l’attenzione mediatica è diminuita, che la normativa nazionale è cambiata, proprio in ragione dello sciopero pontino, e si è ottenuta la legge contro il caporalato dell’ottobre 2016, la 109, che è una buona legge ma tutta incentrata sugli aspetti prevalentemente repressivi. Per tutti questi motivi i datori di lavoro sono tornati a pagare di fatto 3,50 euro all’ora. Non solo, una parte dei lavoratori, quelli più attivi, o non ha visto rinnovato il contratto o è stata licenziata o variamente allontanata».
Sono stati sostituiti?
«Quelli più attivi, quelli che parlano meglio l’italiano sono stati sostituiti o dai richiedenti asilo/profughi che vengono reclutati direttamente da alcuni datori di lavoro o da caporali nell’area romana e fatti arrivare a lavorare in alcune aziende pontine, oppure con la tratta o, in alcuni casi, vengono sostituiti anche da donne, a volte indiane, molto spesso italiane, provenienti dai Monti Lepini. Recentemente stiamo notando che gli indiani vengono sostituiti nel sud pontino da gruppi del Bangladesh».
Perché non denunciano?
«Perché parlano malissimo l’italiano, perché non hanno un rapporto sereno con le Forze dell’ordine, perché spesso registriamo una difficoltà da parte delle Forze dell’ordine a relazionarsi con lo straniero. Perché spesso non hanno i documenti, perché viene messa in discussione la loro parola, perché hanno paura del processo, visti i tempi lunghi, perché chi è stato derubato comunque deve lavorare per vivere e se denuncia non lavora più».
Dove sono i punti principali nella provincia di Latina in cui è presente il fenomeno?
«Il Sud Pontino è legato al sistema di produzione che ha rapporti con il mercato ortofrutticolo di Fondi: lì c’è una situazione che prevede un ipersfruttamente, in assenza di servizi, con lavoro anche notturno. A Borgo Hermada è particolarmente presente la questione del doping, che sta declinando in modo molto pericoloso verso l’uso di droga pesante, soprattutto eroina, qui infatti si registra il maggior numero di decessi di indiani nei campi. A Sabaudia c’è una situazione diversa: c’è una maggiore consapevolezza con un sistema di tratta che fa riferimento a persone anche importanti della comunità e un sistema di ricatto e di violenze».
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La voce della comunità indiana: Gurmukh Singh
Gurmukh Singh è la voce della comunità indiana presente nella provincia pontina. In Italia dal 1992, dopo essere stato bracciante, è diventato negoziante e ha cominciato a dar voce al disagio e alle ingiustizie subite da tutti, grazie all’incontro con Marco Omizzolo. «Quando sono arrivato in Italia, i primi sei anni, sono stato clandestino. Mangiavo, dormivo e lavoravo, fino a 14 ore al giorno, anche la domenica. Mi pagavano 4mila lire all’ora. Poi ho fatto i documenti e ho cominciato a lavorare in un’altra azienda dove pagavano anche gli straordinari. Ora ho un negozio di frutta e verdura a Borgo Hermada».
Prima che arrivasse Marco Omizzolo non si lamentava nessuno delle ingiustizie?
«Si parlava tra di noi. Ogni tanto nei campimoriva qualcuno che nessuno curava. Ma non c’era il coraggio di denunciare. Nelle aziende agricole ti sfruttavano moltissimo, ma nessuno voleva perdere il lavoro».
Alcuni sono costretti a far uso di doping?
«Sono costretti, perché non ce la fanno a fare quella vita. Sono andato dentro un’azienda dove lavorano dei ragazzi che raccolgono cocomeri: hanno mal di collo, mal di reni e sono costretti a fare uso di droghe per andare avanti. Noi, per la nostra religione, non possiamo magiare carne, uova, pesce, gli alcolici sono vietati… E per noi è una vergogna assumere droghe: non si può!». Motivo per cui chi lo fa non denuncia perché teme di essere allontanato dalla comunità».
Cosa è cambiato in questo anno?
«Io ringrazio la Cgil, Marco Omizzolo, le Forze dell’Ordine che hanno capito come devono lavorare: ora ci sono molti più controlli rispetto a prima. Però secondo me sta ritornando tutto come prima. Pochi giorni fa ho incontrato dei ragazzi che per prendere il CUD, che è un loro diritto, hanno dovuto pagare 25 euro a testa al datore di lavoro. Hanno paura di perdere il lavoro. Ma prima o poi sistemiamo…».
Come si potrebbe sistemare la cosa?
«La prima cosa da fare sarebbe mettere in regola chi viene qua, chi vive già in Italia, devono sanare i clandestini e chiudere questa legge stagionale che permette di far giungere qui le persone per il lavoro temporaneo nelle campagne (Il permesso di soggiorno per lavoro stagionale è disciplinato all’articolo 24 del T.U. sull’Immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) ed ha una durata limitata – ndr). I ragazzi arrivano sapendo di avere questo contratto. Ma poi diventano clandestini, quindi degli schiavi ricattabili. A molti il padrone toglie i documenti, quando arrivano».
Altri problemi?
«L’alloggio. Le case costano sui 500 euro. Per pagare i padroni di casa allora si vive in 4/5 in una casa che potrebbe ospitare solo una persona. Ma come si fa a pagare un alloggio a quel prezzo quando lo stipendio è di 500 euro al mese circa?».