E’ impossibile non andare a Roma per vedere, al cinema Troisi, il film di Antonio Rezza il Cristo in gola. Si tratta di un film clamoroso con delle recensioni incredibile che confermano, semmai ce ne fosse bisogno l’estro artistico del nostro Rezza. Il film resterà in programmazione fino al 30 dicembre.
Ecco alcune delle recensioni che hanno promosso a pieni voti l’opera di Rezza.
“Il Cristo in gola, che Antonio Rezza dirige senza l’abituale supporto di Flavia Mastrella, è la conferma del genio dell’attore, regista, e scrittore, che qui arriva a confrontarsi con la figura di Gesù il Nazareno togliendole quella che è per accezione comune la sua virtù più riconoscibile: la parola. Tra urla e gemiti Il Cristo in gola è un viaggio eretico eppur mai concettualmente blasfemo, orgogliosamente ateo, le cui riprese si sono articolate nel tempo, come già accaduto con il precedente Samp. Scelto, non senza coraggio, come film d’apertura del Torino Film Festival”.
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“Il Messia crocifisso da neonato per mano del padre che martella i chiodi di persona sulle tavole di legno, con cui si chiude Il Cristo in gola, è una delle immagini più potenti di tutto il cinema di Antonio Rezza (qui per la prima volta senza Flavia Mastrella al fianco, ma con lo stesso bianco e nero dei loro corti del periodo Ottimismo Democratico), e chiarisce in maniera decisa come uno dei temi cruciali del film sia proprio la paternità: l’arcangelo Gabriele annuncia l’arrivo di Gesù stavolta a Giuseppe, non alla Madonna, e con lui torna a palesarsi più volte, per i suoi dispacci. Gesù lo vediamo spesso lavorare istericamente il legno con un seghetto, da buon figlio di falegname, mentre l’aria si riempie dei discorsi – precisamente sull’etica del lavoro, e questioni simili – di Juan Domingo Peron, Maria Eva Duarte e Jorge Rafael Videla, come fossero voci salmodianti nella testa del protagonista.
E d’altra parte ogni personaggio è sommerso dai propri pensieri (come già nel precedente Samp), espressi in lingue diverse o inventate, da Maria all’abissale monologo di Ponzio Pilato (con la voce dello stesso Rezza): l’unica a parlare in presa diretta è il Diavolo, nelle fattezze di una anziana signora di Matera che stuzzica instancabilmente Cristo con domande e provocazioni nonsense (“tu qui sei sprecato, dovresti andare all’estero”, “ti sei iscritto alla SIAE? hai pensato al diritto d’autore?”). Gesù no, lui si esprime solo con urla gutturali, e emettendo versi disarticolati si dispera tra le braccia di sua madre e compie i suoi incontri e i suoi miracoli, tutti fedelmente riportati dalla messinscena iperrealista di Rezza, dal Battista alla Maddalena a, per dire, la moltiplicazione di pani e i pesci – anche se, dichiaratamente, più che le Scritture la fonte del film è Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, letteralmente “ricalcato” quantomeno per la prima sezione”.
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“È un film affascinante, straniante, complesso per postulato e sfrontato per esito, che non si ricaccia in gola nulla e urla tutto, nel bene e nel male, credendo à la Pier Paolo Pasolini nel miracolo della scena e à la Carmelo Bene nel miracolo dell’osceno. A immagine (iconoclasta) e somiglianza (spuria) di Dio, almeno nell’atto creativo: radicale e fesso, terragno e spirituale, Il Cristo in gola punta a Nietzsche e trova Rezza. Proprio così. La sequenza della strage degli innocenti con i cicciobello tirati in aria fronte mare è tra le migliori dell’anno”.
Ecco alcune delle recensioni che hanno promosso a pieni voti l’opera di Rezza.
“Il Cristo in gola, che Antonio Rezza dirige senza l’abituale supporto di Flavia Mastrella, è la conferma del genio dell’attore, regista, e scrittore, che qui arriva a confrontarsi con la figura di Gesù il Nazareno togliendole quella che è per accezione comune la sua virtù più riconoscibile: la parola. Tra urla e gemiti Il Cristo in gola è un viaggio eretico eppur mai concettualmente blasfemo, orgogliosamente ateo, le cui riprese si sono articolate nel tempo, come già accaduto con il precedente Samp. Scelto, non senza coraggio, come film d’apertura del Torino Film Festival”.
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“Il Messia crocifisso da neonato per mano del padre che martella i chiodi di persona sulle tavole di legno, con cui si chiude Il Cristo in gola, è una delle immagini più potenti di tutto il cinema di Antonio Rezza (qui per la prima volta senza Flavia Mastrella al fianco, ma con lo stesso bianco e nero dei loro corti del periodo Ottimismo Democratico), e chiarisce in maniera decisa come uno dei temi cruciali del film sia proprio la paternità: l’arcangelo Gabriele annuncia l’arrivo di Gesù stavolta a Giuseppe, non alla Madonna, e con lui torna a palesarsi più volte, per i suoi dispacci. Gesù lo vediamo spesso lavorare istericamente il legno con un seghetto, da buon figlio di falegname, mentre l’aria si riempie dei discorsi – precisamente sull’etica del lavoro, e questioni simili – di Juan Domingo Peron, Maria Eva Duarte e Jorge Rafael Videla, come fossero voci salmodianti nella testa del protagonista.
E d’altra parte ogni personaggio è sommerso dai propri pensieri (come già nel precedente Samp), espressi in lingue diverse o inventate, da Maria all’abissale monologo di Ponzio Pilato (con la voce dello stesso Rezza): l’unica a parlare in presa diretta è il Diavolo, nelle fattezze di una anziana signora di Matera che stuzzica instancabilmente Cristo con domande e provocazioni nonsense (“tu qui sei sprecato, dovresti andare all’estero”, “ti sei iscritto alla SIAE? hai pensato al diritto d’autore?”). Gesù no, lui si esprime solo con urla gutturali, e emettendo versi disarticolati si dispera tra le braccia di sua madre e compie i suoi incontri e i suoi miracoli, tutti fedelmente riportati dalla messinscena iperrealista di Rezza, dal Battista alla Maddalena a, per dire, la moltiplicazione di pani e i pesci – anche se, dichiaratamente, più che le Scritture la fonte del film è Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, letteralmente “ricalcato” quantomeno per la prima sezione”.
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“È un film affascinante, straniante, complesso per postulato e sfrontato per esito, che non si ricaccia in gola nulla e urla tutto, nel bene e nel male, credendo à la Pier Paolo Pasolini nel miracolo della scena e à la Carmelo Bene nel miracolo dell’osceno. A immagine (iconoclasta) e somiglianza (spuria) di Dio, almeno nell’atto creativo: radicale e fesso, terragno e spirituale, Il Cristo in gola punta a Nietzsche e trova Rezza. Proprio così. La sequenza della strage degli innocenti con i cicciobello tirati in aria fronte mare è tra le migliori dell’anno”.
27/12/2022