La vicenda comincia due giorni fa quando il prefetto Reppucci, con accanto il procuratore generale Giovanni Galati e i vertici di polizia, carabinieri e guardia di finanza, dice in una conferenza stampa che il problema della droga «esiste a Perugia come nel resto d’Italia, da nord a sud, ma non con le dimensioni apocalittiche che vengono rappresentate». Perugia, dunque – secondo il prefetto – non è una centrale dello spaccio. Poi l’affondo: il prefetto spera «che i padri taglino le teste ai figli che assumono stupefacenti» e aggiunge che «il cancro è lì nelle famiglie, se la mamma non si accorge che suo figlio si droga è una mamma fallita e si deve solo suicidarè».
«La mia è stata una provocazione. Volevo dire che la famiglia deve fare di più», replica il prefetto, che chiama in causa Papa Francesco. «Anche il Papa – dice – ha invitato a fare di più. Le mie frasi sono state estrapolate da un discorso più ampio (nel quale ho sottolineato l’ottimo lavoro delle forze di polizia) ed erano un richiamo alle famiglie, al loro senso di responsabilità. Come tutta la società civile devono fare di più, creare un argine al fenomeno della droga, altrimenti la guerra non si vince mai. In quanto ho detto non c’era alcuna generalizzazione ma un appello accorato – conclude il prefetto – anche come genitore e nonno, a fare tutti di più».
Latina conserva un ottimo ricordo di Reppucci, per aver servito ben otto differenti prefetti in vent’anni di permanenza nel capoluogo pontino, città in cui ha ancora casa.