Quella dei Di Silvio non è mafia. Dopo che il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Annalisa Marzano, ha confermato l’ipotesi della Dda capitolina sulla costituzione di un’associazione per delinquere di stampo mafioso da parte della famiglia di origine nomade stabilitasi da tempo a Latina, formulata nell’inchiesta “Alba Pontina”, e condannato anche con tale accusa a 16 anni e 8 mesi di reclusione Samuele Di Silvio e a 16 anni e mezzo il fratello Ferdinando “Pupetto” Di Silvio, la Corte d’Appello di Roma ha ora ritenuto che nell’estorsione compiuta dagli stessi due imputati a carico di un ristoratore, una vicenda richiamata nella stessa “Alba Pontina”, non vi fossero tracce di mafia. Caduta l’aggravante, Samuele e Ferdinando “Pupetto” Di Silvio, che per l’estorsione appunto erano stati condannati in primo grado rispettivamente a 9 e 8 anni di reclusione, si sono visti ridurre la pena a 5 anni a testa. I due fratelli, difesi dall’avvocato Oreste Palmieri, secondo i giudici d’appello avrebbero insomma costretto la vittima a consegnare loro denaro, ma senza farlo con modalità mafiose. Un episodio inquadrato nell’ambito di alcuni problemi relativi all’affitto di un locale a Monticchio, nel Comune di Sermoneta, avuti dallo stesso ristoratore. I proprietari del locale, Valentina Riccio, 35enne di Sermoneta, e Victor Marcovecchio, 34enne di Ardea, secondo gli inquirenti si sarebbero rivolti ai nomadi. Il 48enne che aveva preso in locazione il locale si sarebbe così visto chiedere, il 19 settembre 2016, 15mila euro da Agostino Riccardo, 34 anni, pregiudicato del capoluogo pontino, poi diventato collaboratore di giustizia, per evitare di essere aggredito dai fratelli Ferdinando “Pupetto” e Samuele Di Silvio. Una richiesta scesa successivamente a cinquemila euro e che alla fine avrebbe visto il gruppo, di cui avrebbe fatto parte anche Renato Pugliese, a sua volta diventato collaboratore di giustizia, accontentarsi di duemila euro, non avendo il ristoratore altro denaro in quel momento. I pm Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro avevano ottenuto il giudizio per i fratelli Di Silvio e, con la sola accusa di tentata violenza privata, anche per i presunti mandanti, Riccio e Marcovecchio, ipotizzando che avrebbero anche tentato di far ritirare al ristoratore la denuncia per diffamazione presentata per Riccio, alla luce di alcuni post su Facebook scritti dalla donna. Con “Pupetto” che avrebbe detto alla presunta vittima: “Ma lo sai chi sono io? Io sono quello che ha sparato a Zof. E me la sto rischiando a parlare con te perché non potrei nemmeno uscire di casa”. Riccio e Marcovecchio, come chiesto alla fine dagli stessi pm, erano stati però poi assolti dal Tribunale di Latina, mentre Pupetto e Samuele Di Silvio erano stati condannati a un totale di 17 anni di reclusione, ora ridotti in appello a 10 cancellando l’accusa di mafia. Una sentenza che potrebbe incidere non poco sul processo “Alba Pontina”.
09/11/2019