Il tutto in applicazione del sacrosanto principio “chi inquina paga”, peraltro già posto alla base della legge nazionale che ha introdotto nel 1995 l’ecotassa sull’immondizia in discarica e rimasto quasi lettera morta. Una normativa seria e nell’interesse della gente. «Il percorso della legge regionale Zero Waste è finito così, con un agguato concordato in Consiglio regionale – spiega con amarezza Massimo Piras, portavoce di Zero Waste Lazio, primo firmatario della legge -, con la scusa di impedimenti di procedura l’hanno fatta saltare. I solerti gruppi consiliari, capeggiati dal Capogruppo Pdl Fiorito, hanno votato una mozione per la sospensione dell’esame della proposta. Questo sebbene l’ufficio legislativo della Regione avesse dato parere favorevole e quindi non c’erano contrasti con norme preesistenti. E così la legge è decaduta».
Il Presidente del Consiglio Mario Abbruzzese, che ci è costato con il suo apparato da 3,6 milioni di euro nel 2011, aveva già tentato di sabotarla per pretestuosi problemi di firme e timbri, ma era stato costretto a metterla in discussione. «È evidente – dice Piras -, come è venuto fuori ora, che lì c’era una banda interessata a tutt’altro». Occorre insomma insistere e pretendere dai Sindaci e dai Consigli comunali il porta a porta, l’unica vera differenziata che funziona e non alimenta discariche ed inceneritori. Ad esempio ai Castelli Romani il Movimento 5 Stelle propose un consorzio tra Comuni sul modello dei Navigli in Lombardia. È finito nel nulla. Speriamo lo ripeschino. Altro esempio che può fare la differenza è l’iniziativa dei Comuni di Aprilia, Sermoneta, Ardea, Anzio, Cisterna, Cori e Rocca Massima: mettersi insieme in un sub-ambito per fare il porta a porta spinto e chiudere il ciclo in modo autonomo.