La criminalità organizzata è sempre meno propensa a manifestarsi con atti di violenza e sempre più abile a infiltrarsi nel tessuto economico e produttivo del Paese. Nel secondo semestre del 2020, dopo l’esplosione della pandemia da Covid 19, quando molte imprese si sono trovate in serie difficoltà finanziarie hanno trovato la “mano tesa” delle mafie, pronte a fornire liquidità a commercianti e imprenditori sull’orlo della disperazione.
È questo il racconto degli ultimi mesi del 2020 che emerge dalla relazione semestrale al Parlamento della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), pubblicata di recente. «La modernizzazione delle mafie si completa nel reinvestire capitali in soggetti economici deboli, in quei soggetti che non trovano più un accesso al credito bancario per la crisi», ha precisato Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia.
Chi si affida a queste organizzazioni criminali ha praticamente la certezza di venire asservito al clan, se non di vedersi sottrarre direttamente l’attività. «Le mafie non hanno bisogno di firmare atti, non hanno bisogno di documenti; al contrario occultano comportamenti illeciti con lo schermo di soggetti solo apparentemente sani, entrano così nel mercato dell’economia legale. Questo – dice De Raho – è veramente preoccupante».
MAFIE: LA ‘NDRANGHETA È SEMPRE MENO IMPENETRABILE
In questo quadro emergono anche novità positive per la giustizia italiana. La ‘ndrangheta, ancora saldamente al comando del traffico di cocaina, non è più così impenetrabile come una volta: sempre più ‘ndranghetisti stanno decidendo di collaborare. La loro attendibilità dovrà essere valutata dalla magistratura ma non c’è dubbio che la comparsa di collaboratori di giustizia, nel complesso fenomeno mafioso calabrese, rappresenti un elemento di grande rilevanza per il contrasto alle attività della criminalità organizzata.
«Fenomeni di collaborazione sono in chiaro aumento, a riprova di una vulnerabilità del sistema criminale ‘ndranghetista», ha commentato Giovanni Bombardieri, procuratore capo di Reggio Calabria. Questo avviene «quando l’azione dello Stato si manifesta sul territorio con costanza in tutte le direzioni, senza mantenere sacche d’impunità».
LA SENTENZA “APPIA” SANCISCE LA PRESENZA DEI CLAN TRA NETTUNO E ARDEA
Nello studio del fenomeno mafioso sul litorale a sud di Roma riveste un’importanza fondamentale la sentenza della Corte di Cassazione del 25 novembre 2020. I magistrati, nel confermare le condanne per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di droga, pronunciandosi sull’inchiesta “Appia” relativa al clan Gallace, hanno sancito l’esistenza e l’operatività di un “locale” di ‘ndrangheta tra Anzio, Nettuno e Ardea.
Nelle motivazioni della sentenza, la Cassazione ha evidenziato che è stato provato “l’innesto del sodalizio nel tessuto sociale della città di Nettuno e la creazione di una sorta di ‘succursale’ a Nettuno del locale di Guardavalle”.
GLI AFFARI MIGLIORI: DAL COMMERCIO ALLE SALE GIOCHI, AGLI APPALTI FINO AI RIFIUTI
Più in generale, la relazione della DIA evidenzia che nella provincia sud di Roma “è opportuno rammentare come sia datata la coesistenza relazionale tra diverse matrici mafiose, in particolare tra quelle calabresi e campane in un contesto che non disdegna rapporti con altre compagini criminali autoctone e straniere. Esse tendono a investire i proventi illeciti nelle più diversificate attività economiche quali la gestione di esercizi commerciali e di sale giochi, il mercato immobiliare, i servizi finanziari e di intermediazione, gli appalti pubblici, lo smaltimento di rifiuti e l’edilizia senza ovviamente tralasciare il settore degli stupefacenti”.
In questo quadro, oltre alle vicende del territorio di Ostia, la Direzione Investigativa Antimafia ricorda l’efferato omicidio di Selavdi Shehaj, un pregiudicato albanese noto come “Simone”, ucciso a colpi di pistola in pieno giorno sulla spiaggia di Torvaianica il 20 settembre del 2020. “Nel 2016 – sottolinea la Dia – l’uomo era rimasto vittima di un tentato omicidio ad opera di un soggetto rimasto poi coinvolto nella già ricordata vasta operazione antidroga «Grande Raccordo Criminale»”.
Era arrivata fino ad Ardea, invece, la rete di spacciatori collegata all’operazione “Il Cartello di via Bellini” dell’ottobre 2020, partita dal frusinate. Secondo gli inquirenti al centro c’era sempre lo smercio di droga gestito questa volta da una donna, moglie di un pregiudicato albanese, che col tempo si sarebbe imposta come “luogotenente” del capo riuscendo a far entrare cocaina, hashish e marijuana, oltre a telefonini e oggetti preziosi, all’interno del carcere di Frosinone grazie alla complicità di una guardia carceraria.
‘NDRINE ANCHE AI CASTELLI ROMANI
Anche l’area dei Castelli Romani entra nella relazione della Direzione Investigativa Antimafia: nella zona, infatti, “sono stati registrati interessi di soggetti organici alle ‘ndrine Molè e Mazzagatti”.
Più in generale è sempre lo spaccio di droga a prendersi la scena. Il 9 dicembre 2020, nell’area tra Velletri, Lariano, Artena e limitrofi, i carabinieri hanno tratto in arresto sei soggetti ritenuti al centro di un’attività di spaccio di stupefacenti che vedeva anche “abituali azioni violente nei confronti di assuntori insolventi”. Tra gli arrestati figuravano anche i fratelli Bianchi, già in carcere perché ritenuti responsabili dell’omicidio del giovane Willy Duarte Monteiro, avvenuto dopo una violentissima aggressione nella notte del 6 settembre 2020, a Colleferro.