Per la Dda di Roma, il clan Fragalà avrebbe seminato il terrore sul litorale, tra la capitale, Ardea e Pomezia, mettendo in piedi un’organizzazione mafiosa, gestendo il narcotraffico e le estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori. Un gruppo che avrebbe cercato anche di piegare ai propri interessi l’amministrazione comunale pometina, che avrebbe messo a punto persino un rituale di affiliazione basato sul giuramento con il sangue, un fazzoletto di seta annodato e l’immagine di San Michele Arcangelo, e che avrebbe mantenuto stretti rapporti con la camorra casalese, la mafia siciliana dei catanesi Santapaola e Cappello, e i Fasciani di Ostia. Tutto gestito da un triumvirato composto da Alessandro Fragalà, il nipote Salvatore e Santo D’Agata.
Il gruppo criminale si sarebbe trasformato in clan mafioso nel 2009. Una convinzione maturata negli inquirenti alla luce delle indagini svolte dai carabinieri e delle rivelazioni di Sante Fragalà, un esponente dell’organizzazione, arrestato per la cosiddetta mattanza di Cecchina del 29 maggio 2011, un duplice omicidio e un duplice tentato omicidio compiuto ad Albano Laziale nell’ambito di uno scontro legato al mercato della droga, e che ha deciso di collaborare con la giustizia. Fu infatti in quella data che Alessandro Fragalà, lo zio di Sante, in quel momento detenuto, ordinò di mettere su un clan e prendere il controllo del litorale. Da allora sarebbe stato un susseguirsi di estorsioni, traffici di sostanze stupefacenti, rapine, incendi e danneggiamenti, facendo largo uso di armi ed esplosivi.
A sostenere che i Fragalà erano mafia era stato inoltre già il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Claudio Carini, condannando a un totale di oltre 50 anni di carcere sei imputati che avevano scelto di farsi giudicare con rito abbreviato. Per il giudice Carini, “tutti i delitti sono stati commessi facendo valere la forza notoria nell’ambiente circostante e nel territorio di riferimento del vincolo associativo mafioso sui poggia la famiglia Fragalà, strumento di intimidazione usato per impaurire le persone offese, scoraggiandole dall’intraprendere qualunque iniziativa oppositiva e indurle a rassegnarsi all’acquiescenza, ma anche per intimidire i possibili rivali i quali sanno di doversi preparare se vogliono resistere ad un duro scontro e quasi sempre accettano con favore o addirittura auspicano l’intermediazione di personaggi influenti che garantiscano una pacifica soluzione dei conflitti”.