Se qualcuno avesse detto a Salvatore Lapenna, segretario del Partito democratico provinciale, che la sua segreteria, l’assemblea e tutto il Pd sarebbero rimasti bloccati su Maurizio Mansutti, forse il segretario giovane di Sezze ci avrebbe pensato due volte prima di allearsi con gli ex democristiani. Mansutti non vuole rinunciare a nessun costo a una carica simbolica come quella di presidente del partito. Famoso il rifiuto che Cofferati propinò in diretta tv a Dalema che gli proponeva di essere presidente del Pd: l’ex sindacalista rimandò al mittente la proposta con un “una carica che non vale niente”.
Non si capisce la coriacea ostinazione dell’avvocato a volersi sedere su quella poltrona, ma di fatto da quando i garanti nazionali del partito hanno dato ragione ad Alessandro Di Tommaso, annullando il blitz con il quale i renziani si votarono Mansutti presidente (la guerra di memorie ha dato ragione al giovane politico latinense sconfessando quelle del legale pontino), il Pd provinciale è bloccato, fermo al palo. Muto e silenzioso su tutto. Una strategia del lungo sonno che ha già dimostrato essere perdente. Ma pare essere questa la vocazione del maggiore partito di opposizione in provincia: guai a governare, meglio gestire quel piccolo spazio di potere interno che metterci la faccia e uscire fuori. Lapenna non riesce a comporre la sua segreteria, ha indicato solo Clemente Pernarella alle politiche culturali e Floriana Giancotti (non proprio una new entry nella politica provinciale). Il resto si è riservato di nominarlo solo dopo l’elezione del presidente, che non si riesce a scegliere.
Ma perché questa ostinazione cieca su Mansutti? E perché Claudio Moscardelli, il vero artefice dell’operazione “Mansutti o morte”, che tanto decanta sui social network le azioni di Matteo Renzi, poi nella realtà non imita il suo idolo e lascia che a fare il presidente sia lo sfidante alle primarie? Presidente nazionale è diventato infatti Gianni Cuperlo, il competitor di Renzi. Ma a Latina questo fair play non esiste. È una questione di stile, di differenza tra fame di potere e voglia di buona politica. Tra l’altro Di Tommaso, giovane politico di Terracina, starebbe meglio accanto a Lapenna rispetto al cinerino Mansutti. Ma lo stile non si vende a chili al mercato, e quello di certi ex democristiani si è perso nei corridoi del potere. Piccolo, ma certo.