DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI ANCHE SE NON SI È PARTE IN CAUSA
Il nuovo decreto legge stabilisce che: “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali, sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico dei cittadini chiunque ha diritto di accedere ai dati detenuti dalle pubbliche Amministrazioni”. In sostanza, la nuova disposizione capovolge i due principi cardine su cui si fondava fino ad oggi il diritto di accesso agli atti. Scompaiono l’“interesse legittimo” e il “fine”, cioè il dover spiegare il motivo per cui il cittadino richiede un documento e lo scopo che persegue. In parole povere, d’ora in avanti non conterà più quali sono i sentimenti che animano il cittadino che chiede una carta ad una Amministrazione pubblica. Nella nuova richiesta di “accesso civico” sarà sufficiente indicare i documenti di cui si ha bisogno e poi attendere 30 giorni. Piuttosto, sarà la Pubblica Amministrazione a dover dimostrare quali interessi ostacolino, eventualmente, l’accesso civico del cittadino.
RACCOMANDATA, UFFICIO PROTOCOLLO… O E-MAIL!
La richiesta di atti e documenti potrà essere inviata all’Ente pubblico competente non più solo per raccomandata A/R, ovvero con posta ordinaria, o col deposito “a mano” all’ufficio protocollo, ma anche via e-mail, ossia con la posta elettronica. In quest’ultimo caso, la risposta potrà avvenire anche con l’uso di un link, ovvero un collegamento ad internet, che faciliti la visione delle informazioni richieste. In ogni caso, nella richiesta dovremo indicare il formato in cui preferiamo avere tutta la documentazione che ci interessa, oltre a dati anagrafici, di residenza, numero di telefono fisso e/o mobile e eventuale e-mail.
POCHI I CASI DI RIFIUTO
Sono pochi i casi in cui le Pubbliche Amministrazioni potranno opporsi legittimamente alle richieste dei cittadini: segreto di Stato, sicurezza pubblica, relazioni internazionali, questioni militari e stabilità finanziaria, economica o commerciale di livello nazionale. In ogni caso si potrà proporre un ricorso al giudice amministrativo (o Tar) entro 30 giorni al costo di 500 euro più le spese per l’avvocato.
MA GLI UFFICI AMMINISTRATIVI SONO PRONTI?
Il problema ora per applicare questa norma è se riusciranno le Amministrazioni pubbliche ad organizzarsi: carenza di personale e di organizzazione sono diffusissimi in questi enti e un aumento di pratiche da sbrigare potrebbe mandare in tilt molti uffici. Per le spese almeno non dovrebbero esserci problemi in quanto al cittadino che chiede documenti potrà essere richiesto un contributo per fotocopie o quant’altro. Sui dirigenti graverà tutta la responsabilità della pratica. Se si richiede un documento in cui è coinvolto un terzo, società o persona, il dirigente incaricato dovrà interpellare il terzo per vedere se questo non voglia opporsi alla divulgazione dei suoi atti. Se c’è una richiesta di non fornirli, lo stesso dirigente dovrà valutare le motivazioni di questa richiesta. Fermo restando poi il diritto del cittadino che vede negarsi il documento di ricorrere al giudice.
Secondo accreditati rapporti internazionali, l’Italia è uno dei paesi messi peggio nella classifica della diffusione della corruzione. Le cause, per l’Autorità Nazionale Anticorruzione o A.N.C. guidata dal super-magistrato Raffaele Cantone, vanno cercate “nella mancanza di trasparenza delle pubbliche amministrazioni – si legge nel report 2016 anticorruzione – che favorisce iniziative imprenditoriali poco vantaggiose per l’interesse pubblico. La trasparenza – scrivono ancora i togati – deve essere uno degli assi portanti della politica anticorruzione di Regioni e Comuni.”