Tagli all’assistenza infermieristica e fisoterapica domiciliare per i disabili e i malati gravi, anche quelli affetti da Sla, in tutti i distretti della Asl Rm H.
A denunciarlo sono i famigliari dei pazienti del distretto H6, quello di Anzio e Nettuno, convocati dal Centro di assistenza domiciliare. «Ci è stata proposta una riduzione di ore di assistenza. In caso di rifiuto, come è capitato alla maggior parte dei noi, allora l’alternativa prospettata è stata quella di sostituire gli infermieri con gli operatori socio sanitari – dicono le famiglie – una follia, soprattutto per i malati di Sla a cui serve, invece, un’assistenza altamente qualificata e dei professionisti specializzati. Gli infermieri e i fisioterapisti che svolgono questo tipo di servizio non sono dipendenti dell’azienda sanitaria, ma di una ditta esterna che da una decina di anni lavora per la Rm H. Insomma un costo assai elevato, secondo i vertici di Albano, che deve essere rivisto. «Invece di tagliare gli sprechi veri – aggiungono i cittadini – si toglie un’assistenza fondamentale sulla pelle dei malati. E’ una vergogna».
«Nessun taglio», tranquillizza invece il direttore generale Fabrizio D’Alba che parla invece di monitoraggio del servizio per verificare le condizioni dei pazienti ed eventualmente modificare le cure e i sostegni finora garantiti. «Occorre capire – dice D’Alba – se ci sono margini di intervento per estendere l’assistenza anche a altri malati». Secondo il direttore, dunque, un’assistenza più equa e soprattutto garantita a un numero più ampio di persone e una politica che razionalizzi il servizio nei casi di trasformazione del quadro clinico. «Questo tipo di assistenza è operativa dal 2000 – aggiunge – e in 15 anni non c’è mai stato un controllo. In tutti i 22 Comuni della Asl, l’azienda spende 11 milioni e 700mila euro l’anno per l’assistenza domiciliare a alta intensità a fronte dei due milioni e 700 mila previsti. Siamo tra le poche Asl del Lazio a offrire questo sostegno». Risparmio, tuttavia, sembra proprio essere la parola d’ordine.
Il compito di valutare le condizioni dei pazienti è stato affidato alle commissioni, quelle composte da medici, infermieri e fisioterapisti che «devono andare in casa del malato – prosegue D’Alba – visitarlo e verificare se la situazione è stazionaria o peggiorata. Quindi proporre all’azienda eventuali modifiche sull’assistenza». Ma a Anzio e Nettuno non è stato fatto. Sono stati invece convocati i famigliari dei pazienti e messi di fronte a una scelta: o la diminuzione di ore o la sostituzione di infermieri professionisti, che da anni conoscono i malati e sanno come trattarli, con gli operatori socio sanitari.
A Pomezia e Ardea alcune famiglie si sarebbero rivolte all’associazione “W la vita”. È in programma un incontro con tutte i parenti disabili oggetto di restrizione da parte dell’azienda per cercare una soluzione. D’Alba però garantisce che «sarà valutato caso per caso – conclude – e comunque gli operatori socio sanitari inizieranno a lavorare solo dopo un corso di formazione. Mi rendo conto dei timori delle famiglie alle quali, purtroppo, è stata data un’informazione fuoriviante e non corretta da parte dei distretti, in particolare quello di Anzio e Nettuno. E’ stato commesso un errore di comunicazione che ha gettato i parenti nel panico».
A denunciarlo sono i famigliari dei pazienti del distretto H6, quello di Anzio e Nettuno, convocati dal Centro di assistenza domiciliare. «Ci è stata proposta una riduzione di ore di assistenza. In caso di rifiuto, come è capitato alla maggior parte dei noi, allora l’alternativa prospettata è stata quella di sostituire gli infermieri con gli operatori socio sanitari – dicono le famiglie – una follia, soprattutto per i malati di Sla a cui serve, invece, un’assistenza altamente qualificata e dei professionisti specializzati. Gli infermieri e i fisioterapisti che svolgono questo tipo di servizio non sono dipendenti dell’azienda sanitaria, ma di una ditta esterna che da una decina di anni lavora per la Rm H. Insomma un costo assai elevato, secondo i vertici di Albano, che deve essere rivisto. «Invece di tagliare gli sprechi veri – aggiungono i cittadini – si toglie un’assistenza fondamentale sulla pelle dei malati. E’ una vergogna».
«Nessun taglio», tranquillizza invece il direttore generale Fabrizio D’Alba che parla invece di monitoraggio del servizio per verificare le condizioni dei pazienti ed eventualmente modificare le cure e i sostegni finora garantiti. «Occorre capire – dice D’Alba – se ci sono margini di intervento per estendere l’assistenza anche a altri malati». Secondo il direttore, dunque, un’assistenza più equa e soprattutto garantita a un numero più ampio di persone e una politica che razionalizzi il servizio nei casi di trasformazione del quadro clinico. «Questo tipo di assistenza è operativa dal 2000 – aggiunge – e in 15 anni non c’è mai stato un controllo. In tutti i 22 Comuni della Asl, l’azienda spende 11 milioni e 700mila euro l’anno per l’assistenza domiciliare a alta intensità a fronte dei due milioni e 700 mila previsti. Siamo tra le poche Asl del Lazio a offrire questo sostegno». Risparmio, tuttavia, sembra proprio essere la parola d’ordine.
Il compito di valutare le condizioni dei pazienti è stato affidato alle commissioni, quelle composte da medici, infermieri e fisioterapisti che «devono andare in casa del malato – prosegue D’Alba – visitarlo e verificare se la situazione è stazionaria o peggiorata. Quindi proporre all’azienda eventuali modifiche sull’assistenza». Ma a Anzio e Nettuno non è stato fatto. Sono stati invece convocati i famigliari dei pazienti e messi di fronte a una scelta: o la diminuzione di ore o la sostituzione di infermieri professionisti, che da anni conoscono i malati e sanno come trattarli, con gli operatori socio sanitari.
A Pomezia e Ardea alcune famiglie si sarebbero rivolte all’associazione “W la vita”. È in programma un incontro con tutte i parenti disabili oggetto di restrizione da parte dell’azienda per cercare una soluzione. D’Alba però garantisce che «sarà valutato caso per caso – conclude – e comunque gli operatori socio sanitari inizieranno a lavorare solo dopo un corso di formazione. Mi rendo conto dei timori delle famiglie alle quali, purtroppo, è stata data un’informazione fuoriviante e non corretta da parte dei distretti, in particolare quello di Anzio e Nettuno. E’ stato commesso un errore di comunicazione che ha gettato i parenti nel panico».
19/11/2015