MESSI, IL RITRATTO
Un grande classico è Messi – storia di un campione, ora su Amazon Prime Video: 93 minuti (come una partita con tanto di recupero) in cui tra il campo e il tavolo di un ristorante, dove si alternano compagni del campione argentino, rivali, intellettuali, allenatori, il regista Alex de la Iglesia (e l’ex calciatore e dirigente Jorge Valdano in scrittura), fa un ritratto affascinante e fuori dal coro di quel robot infallibile che è Lionel da Rosario, cercando di indagarne con pudore anche le fragilità, quelle che di solito emergono quando a far capolino nella sua carriera è la Nazionale e il paragone tanto insopportabile quanto da lui stesso sempre ossessivamente cercato con Diego Maradona diventa invadente e destabilizzante.
MARADONA IL PIÙ RACCONTATO
A proposito del Pibe de Oro, è probabilmente il più raccontato da cinema e tv. Chi scrive, per darvi la portata della cinematografia dedicata a D10S, ha tenuto banco, per tre ore e mezza, in una Cinecena – format live di cucina e cinema che si tiene ogni mese a Casa Fluviale, a Roma, con la chef Kaba Corapi e il sottoscritto a puntellarne il menù con aneddoti e racconti – citando ben 25 film. Qui vi segnaliamo il più famoso, oltre che l’ultimo arrivato, su Netflix: Maradona di Asif Kapadia, il più completo documentario sul ragazzo di Villa Fiorito – lavoro enciclopedico e monumentale di Gianni Minà escluso, ovviamente. Complice la ricerca precedente all’opera che ha portato al ritrovamento di montagne di materiale inedito, tra archivi personali e tv private napoletane – il regista ha confessato che ha scelto ciò che ci ha mostrato su 1000 ore di nastri e file -, ne è venuto fuori un melodramma in piena regola, dalla scrittura blindata e con qualche tesi di troppo, ma perfetto per chi lo conosce solo superficialmente. Per gli amanti del mito argentino, però, consigliamo un lavoro piccolo, imperfetto, sopra le righe ma pienamente nello spirito dell’idolo che ha conquistato il mondo sul campo da calcio e poi lo ha fatto discutere fuori. Si chiama Maradona in Mexico, è una produzione Netflix Original, e narra della sua pazza avventura nei Dorados de Sinaloa, squadra sgarrupata dai tifosi appassionati e di proprietà di un narcotrafficante, uno di quei posti in cui solo un meraviglioso pazzo e outsider come lui poteva cacciarsi, mostrandosi come sempre nel fango il più grande di tutti. Per chi ama Diego, il calcio, la follia dell’amore incondizionato legato a una maglia, imperdibile e irresistibile.
IL GIOCO INGLESE
Ancora su Netflix è da vedere, senza se e senza ma, ‘Til I Die. Il titolo è facilmente comprensibile: “fino alla morte”, locuzione amata dai tifosi di ogni latitudine, soprattutto nei loro cori, per descrivere il sentimento verso la propria squadra. Questa docuserie in due stagioni disastrose per il Sunderland, team amatissimo, fondamentale per l’identità della città che rappresenta e precipitato nella serie C inglese, è pazzesca per la capacità che ha, raccontandone i tifosi, di mostrarci quel matrimonio meraviglioso che avviene quando uno stadio diventa agorà, quando la vittoria non è l’unica cosa che conta, perché l’importante è partecipare. Non solo a un campionato – che tu spettatore alla fine vivi quasi come se quei colori li avessi amati da sempre – ma alla vita sociale, politica del tuo mondo. Potente, emozionante, profondo. Come lo è The English Game, anch’esso prodotto di punta della piattaforma di streaming on line con più abbonati nel mondo: tra i rari prodotti di finzione legati al football, ma soprattutto tra i più riusciti. Con una grande intuizione va fino agli albori di questo sport, in quell’Inghilterra che lo inventò e lo rese grande, recuperando un’iconografia e una mitologia che ormai si era annacquata, ma soprattutto riuscendo a far emergere la natura più vera della sua magia, ora in parte persa a causa di tv, contratti miliardari, eccesso di spettacolarizzazione. Sport proletario amato e praticato anche dai ceti più abbienti, capace di sovvertire la scala sociale e di portare però in cima i più sfortunati, disciplina in cui non necessariamente vince il migliore ma il più tenace e duro e intelligente sì, il calcio trova in The English Game quel ruvido romanticismo che ha perso altrove. E lo fa grazie all’autore di Downtown Abbey, Julian Fellows, che qui ha l’intuizione di adattargli addosso proprio quel “format” di narrazione, rendendolo un Holly e Benji che incontra Fuga per la vittoria, ma in costume e un versione di sceneggiatura, scenografia e regia ben più raffinate. L’etica ed estetica sportiva qui è quella delle epiche rimonte, delle tattiche spiazzanti, delle vittorie all’ultimo minuto e di azioni troppo eleganti per essere vere. Contrariamente allo straziante Forbidden Games che ci ricorda Justin Fashanu, idolo di Mai dire gol per le sue esultanze ma ucciso dal lato oscuro di questo mondo: nero e gay (il primo a dichiararsi tale, nel calcio inglese) il razzismo e l’omofobia che impregnano gli spogliatoi e non solo l’hanno portato al suicidio.
DIAMANTINO
Avremmo tanti altri titoli, ma chiudiamo con uno che potete trovare (anche) su Chili, quel Diamantino – Il calciatore più forte del mondo, passato alla Semaine de la Critique di Cannes con successo e che mischia comicità demenziale, fantasy, spy-story e politica nel racconto di un campionissimo troppo simile a Cristiano Ronaldo per essere casuale e che con creatività, un tocco trash e un pizzico di follia sa dissacrare un mondo che si prende troppo sul serio proponendoci una serie di metafore politiche e chiavi di lettura estremamente coraggiose. Insomma, chi l’ha detto che il calcio si è fermato?
Boris Sollazzo