Solo a combattere i clan l’unico Comune del Lazio che, con una passata giunta, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Chiavetta alle parole contro le mafie ha fatto seguire i fatti. Nel processo “Sfinge” i giudici hanno ritenuto fondata l’ipotesi di un’associazione criminale capeggiata da Maria Rosaria Schiavone, nipote del boss «Sandokan» e figlia del pentito Carmine, soprannominata dagli investigatori “la sfinge”, e dal marito della donna, Pasquale Noviello, entrambi condannati in primo grado a 18 anni di reclusione.
I «soldati» del clan mafioso sarebbero invece stati Agostino Ravese e Francesco Gara, condannati rispettivamente a 9 e 8 anni, mentre a dare appoggio esterno all’associazione sarebbero stati Mario Noviello, padre di Pasquale, condannato a 5 anni, e Dario Flamini, condannato a 7 anni e mezzo. Condanna, infine, a 4 anni e mezzo per una delle presunte vittime, il ristoratore Francesco Cascone, di Cisterna, nel 2008 sfuggito a un agguato a colpi di kalashnikov sull’Appia, presunto autore di un tentato omicidio. Il Tribunale di Latina ha riconosciuto al Comune di Nettuno i danni.
«Quanto alla sussistenza del danno – si legge nelle motivazioni della sentenza – deve evidenziarsi il pregiudizio subìto dall’ente locale, che ha visto compromessa la sua immagine di località turistica a causa dell’operare del sodalizio criminale, stabilmente radicatosi all’interno del suo territorio». Ora, dopo che i sette condannati hanno fatto ricorso, l’ente pubblico è tornato a costituirsi parte civile sempre tramite l’avvocato Ciro Palumbo. Il processo si celebrerà a Roma nell’aula bunker e l’udienza è fissata per il 27 novembre.