È impressionante il “day after” dell’incendio EcoX visto dall’alto. Il Caffè è in grado di mostrarvelo. Il cadavere dell’ecomostro si presenta così: strutture sventrate e ancora fumanti. Cumuli di macerie e materiali bruciati, cassoni per il trasporto dei rifiuti, una grossa pozza d’acqua rimasta dopo le operazioni di spegnimento del rogo. Il capannone meno grande ha tre quarti del tetto crollato e quello principale presenta intere porzioni di copertura a brandelli. I muri delle strutture sono collassati in più punti. Questo rimane dei due immobili industriali trasformatisi in un gigantesco inceneritore fuori controllo e senza filtri che ha messo sul chi vive circa un milione e mezzo di persone. Tanti sono gli abitanti tra i quattro Municipi capitolini a sud di Roma al confine con Pomezia e i 21 Comuni allertati a seguito del velenoso incendio, tra Castelli Romani, litorale e Aprilia. Da quei tetti si è sprigionato il temuto amianto che una volta volatilizzato, se respirato, può causare persino cancri. Ma temibili sono anche le sostanze prodotte dalle plastiche bruciate – in particolare le diossine – e dagli altri materiali che l’azienda poteva lavorare per enormi quantitativi, fino a 340 tonnellate al giorno. Resta ben poco dello stabilimento di lavorazione dei rifiuti a Pomezia, sulla Pontina Vecchia. Intestato alla società Eco Servizi per l’Ambiente Srl, subentrata il 17 ottobre 2014 alla Eco X Srl, l’impianto era stato autorizzato dalla Regione per 85mila tonnellate di rifiuti l’anno. Del terribile fumo nero si alza ancora qualche grigia folata, che continua ad appestare chi vive nei dintorni. Attaccata al capannone grande, appare intatta la villa sul lato est dell’azienda (verso i Castelli Romani). Il Caffè mette le immagini a disposizione di istituzioni ed autorità che dovranno stabilire cosa è successo veramente, cosa è andato a fuoco e quindi cosa siamo stati costretti a respirare e cosa, nel tempo, finirà sul suolo fino alle falde acquifere, chi sono i responsabili dei controlli e del sistema antincendio dell’azienda andata in fumo, prima ancora che di una eventuale origine dolosa del disastro. Su questi aspetti c’è tanto fumo da mandare via per fare vera luce sull’accaduto, anche per evitare simili avvelenamenti di massa in futuro.
10/05/2017