In Italia si stima che una su tre morti violente riguarda donne uccise dal partner.La violenza contro le donne è una questione sociale e politica, oltre che un problema privato: sono gli uomini, fidanzati e mariti, a negare alla donna la libertà individuale per il loro bisogno di controllo, con il corpo femminile che diventa “oggetto”. Basta l’ennesimo rifiuto a riprendere una relazione ormai finita o il desiderio di indipendenza della donna a scaturire nell’uomo reazioni violente, irreversibili. E lei è lì a subire e sempre in silenzio. Infatti la violenza sulle donne è tanto reale quanto subdola: innesca processi di silenzio e negazione nella donna, che giustifica il suo aguzzino, che ha paura di ammettere il proprio disagio ancor prima di denunciarlo perché questo avviene nella propria casa, dove la violenza entra nella quotidianità e quindi diventa normalità.
Cosa possono fare le vittime per uscire da questo incubo? Il primo passo è certamente prendere coscienza del disagio familiare, ammettere che la violenza da parte del proprio partner non è giustificabile, non è “normale”. La vittima deve smettere di autoconvincersi che quelle botte sono meritate, che la colpa è della donna ed è giusto che venga usata come un pungiball. E poi passare ai fatti: all’inizio si può parlare con una persona fidata, un’amica, un parente, poi bisogna rivolgersi ai centri che offrono assistenza alle donne vittime di abusi, alle forze dell’ordine, agli avvocati. Ma questo non è sempre facile, specie se entra in gioco la paura di nuova violenza da parte del partner, la preoccupazione per i figli e per la propria vita.
La violenza familiare è fisica e psicologica: per le donne è difficile denunciare quando si ha un legame con l’aggressore. L’appello va lanciato agli amici e ai familiari delle vittime, che devono tenere gli occhi aperti e capire i segnali. Gli sportelli accolgono anche le terze persone che vogliono denunciare la violenza al posto della vittima», spiega Federica. Questi sportelli sono fondamentali, sostengono la donna, a partire dalla prima accoglienza e in seguito nella stesura della denuncia e nell’assistenza legale, che è gratuita; le associazioni si costituiscono anche parte civile nel processo. Perciò, perché questo muro di silenzio possa essere abbattuto, serve informazione, prevenzione, sostegno alle vittime da parte delle autorità. A poco servono le fiaccolate, le campagne di sensibilizzazione, le manifestazioni in piazza o i dibattiti nei talk show patinati, se la difesa della donna non parte prima di tutto dalla donna stessa.