Che la zona avesse moltissimo da raccontare non è una novità. Nel 2017 fu rinvenuta la statua della dea Diana Cacciatrice; a marzo scorso poi, dai lavori per il cantiere dell’ascensore che collegherà il centro storico alla parte bassa della città, è emersa un’altra statua di oltre due metri; le ricerche successive hanno portando alla luce i resti di mosaici, vasche e ceramiche di un antico impianto termale del periodo tardo imperiale (risalente tra il IV e V secolo d.C.). È proprio proseguendo in questi scavi che nei giorni scorsi è arrivata la stupefacente scoperta di un lastricato completamente intatto, insieme a un basamento di una colonna e un baso stradale. Reperti che inducono gli archeologi a spingersi nel considerare questi ritrovamenti elementi distintivi di un foro romano. Ciò che desta particolare interesse è anche il rinvenimento di tracce di ceramica “di vernice nera”, utilizzata nella Roma repubblicana, pertanto in un periodo antecedente a quello a cui si fa ricondurre sia il Foro Emiliano (nel centro storico di Terracina) sia quello Severiano (ad una quota inferiore ma comunque in zona collinare).
Se le verifiche dei prossimi giorni confermeranno la presenza del “foro repubblicano” si dovrà riconsiderare anche l’urbanistica della Terracina del tempo, ovvero quando la via Appia passava per la parte alta della città. In tal senso, oltre a riconoscere definitivamente la vita della Terracina marinara già dalle origini di Roma, prende forza la supposizione avanzata dai ricercatori dell’esistenza di un porto commerciale interno in corrispondenza dell’attuale fiume Linea. Ciò legittimerebbe anche l’esistenza del foro di servizio.
Gli accordi in essere tra la Soprintendenza e l’Eni prevedono che una volta recuperati e catalogati i reperti, gli scavi vengano ricoperti, anche per non intaccare la stabilità delle strutture presenti nella zona. La recentissima scoperta però potrebbe addirittura cambiare le carte in tavola necessitando di rivedere interamente il programma di studio dell’area.