Cresce il disagio
«Il dato mondiale, sovrapponibile a quello italiano, è il seguente: netto aumento dei casi psichiatrici e delle richieste di aiuto, sia a seguito dell’esplosione del Covid che poi con il conseguente lockdown», spiega la dottoressa Sara Andreoli, psichiatra, psicoterapeuta e dottore di ricerca in Metodologie avanzate di ricerca in psicoterapia e psicopatologia. «I dati comunicano chiaramente ciò che si temeva: i disturbi depressivi sono raddoppiati, salendo dal 16% al 32% dopo il lockdown, secondo i più recenti dati di letteratura. Parallelamente assistiamo a un incremento dei disturbi d’ansia, dal 21 al 35%. Tra i fattori determinanti vi è stato inizialmente l’impatto del virus, quindi le conseguenze delle restrizioni quali l’isolamento, la chiusura degli spazi sociali, la difficoltà di accedere alle cure, oltre alla convivenza forzata che talora ha determinato l’acuirsi della conflittualità intrafamiliare. Nel complesso è netta la prevalenza dei disturbi d’ansia, reattivi al drammatico cambiamento delle abitudini e del senso di stabilità. Purtroppo la paura, l’isolamento, il timore per la salute propria o dei familiari, le preoccupazioni economiche e la crisi di numerosi settori hanno minato i pilastri del senso di sicurezza e fiducia (la salute, la famiglia, il lavoro)».
Tagli alla sanità
Cosa osserva sul campo la psichiatra?
«Purtroppo i tagli alla sanità e in particolare alla sanità psichiatrica, che già aveva risorse e personale esigui nelle realtà pubbliche, erano una preoccupazione emergente già prima della pandema. Attualmente l’accesso alle cure, anche per motivi economici, può essere limitato o non tempestivo. Inoltre assistiamo, io e i colleghi, ad un netto peggioramento sul piano comportamentale del discontrollo e delle condotte anche a rischio ‘penale’, parallelamente ad un incremento del consumo di sostanze, con conseguenti anche casi noti alla cronaca (minacce, aggressioni, stalking)».
I danni agli anziani
Il Covid ha impattato in maniera diversa in base alle fasce di età.
«Dalla mia esperienza clinica i più colpiti sono stati gli anziani e i giovani. L’anziano, soggetto di per sé più fragile, più esposto ai rischi dell’infezione, ha patito l’isolamento, una netta riduzione della qualità della vita e dell’assistenza, la chiusura degli spazi sociali. Inoltre coloro che si sono ammalati di Covid, se pazienti psichiatrici, hanno presentato un tasso di mortalità superiore, e in caso di guarigione dall’infezione spesso si sono manifestate ricadute nella patologia psichiatrica preesistente, o abbiamo assistito all’insorgenza di malattia psichiatrica in soggetti sani (soprattutto ansia e depressione), o di disturbi della sfera cognitiva (memoria, attenzione, concentrazione) come la letteratura conferma.
Immaginiamo un anziano ricoverato, senza alcun familiare ad assisterlo, quale esperienza traumatica abbia potuto vivere: fortunatamente ho ricevuto testimonianza di operatori che empaticamente hanno compreso l’importanza di facilitare la comunicazione anche multimediale con i familiari (chiamate e videochiamata con smartphone, ndr), di sostenere emotivamente con una carezza, una parola di conforto e di speranza, per scongiurare un aggravamento dovuto ad un’esperienza emotiva drammatica di paura ed isolamento».
Dramma nei giovani
Drammatico l’impatto anche sui giovani.
«Per loro la situazione è complessa: i disturbi d’ansia e depressivi sono quasi raddoppiati. I ragazzi in anni di formazione, crescita e socializzazione hanno sperimentato isolamento e angoscia, soprattutto nelle situazioni a maggior stress, quale la maturità. L’assenza di confronto con i compagni, i docenti e la mancanza della condivisione quotidiana hanno determinato un aggravamento dei sentimenti di solitudine e angoscia, talora disperazione, in alcuni casi a rischio di condotte autolesive.
Inoltre il rischio di abbandono scolastico, la dipendenza da videogiochi, il discontrollo della rabbia ha reso necessario talvolta oltre al supporto psicoteraputico (sia individuale che di gruppo) l’utilizzo di psicofarmaci, con beneficio».
E qui emerge un’altra nota dolentissima.
«C’è stato un forte aumento dell’uso di sostanze stupefacenti. Questo ha determinato la slatentizzazione (emersione di ciò che è latente, ndr) di problemi preesistenti».
Allarme droga
Covid e lockdown, insomma, hanno tolto il tappo e fatto emergere le bombe sotto la cenere.
«Numerosi esordi psicotici, caratterizzati da pensieri deliranti o esperienze allucinatorie, o gravi crisi depressive o di agitazione psicomotoria, spesso indotti dalle droghe, prevalentemente cocaina e cannabinoidi, rappresentano una vera emergenza».
La fascia tra i 40 e 60 anni ha sofferto di più sul piano della somatizzazione dell’ansia, cioè con manifestazioni “scaricate” sul corpo, e prevalentemente le donne, probabilmente anche per il sovraccarico di impegni domestici.
«Inoltre – aggiunge la dottoressa Andreoli -, dobbiamo tenere a mente tutti coloro che in maniera diretta o indiretta hanno sperimentato un lutto a causa del covid, o vissuto ‘a distanza’ a causa delle restrizioni del covid: in ambedue i casi la perdita del congiunto non ha avuto gli spazi ed i tempi adeguati per l’elaborazione di un vissuto così doloroso».
Il terrore mediatico e la speranza
Ad aggravare il quadro, l’esposizione mediatica.
«La paura ha avuto un ruolo determinante sull’ansia, gli studi addirittura sostengono che chi è stato più esposto alle piattaforme social manifesta con maggiore frequenza un disagio psicologico».
Ma su tutto questo la dottoressa Andreoli pone un messaggio – e forse una “lezione” – fondamentale «Non esiste il benessere individuale se non esiste il benessere sociale. Non dobbiamo essere indifferenti al malessere psicologico né pensare che non ci debba interessare se non ci colpisce direttamente. Dove c’è condivisione, c’è sempre la possibilità di un cambiamento. In questo senso voglio lanciare un fondamentale messaggio di speranza: questa terribile esperienza, tuttora in corso, ha fatto emergere aspetti deprecabili del comportamento umano, ma anche tantissima civiltà nella nostra popolazione duramente colpita, di cui dobbiamo andare fieri. Anche in termini di disagio psicologico c’è un sostanziale cambiamento: i giovani hanno meno pregiudizi, accedono alle cure con fiducia, si affidano, sono disposti a farsi portavoce di una rivoluzione anche in termini psicoeducativi. I miei pazienti sono portatori di tutto ciò, generando in questi termini solidarietà e divulgazione, potenti strumenti psicologici. Non c’è disagio che non possa essere condiviso, affrontato, superato: la condivisione, un’équipe professionale specializzata, la psicoterapia, la psicofarmacoterapia e la riabilitazione sono strumenti efficaci per determinare la remissione del disagio, che sia transitorio o cronico».