C’era anche lei alla XXI Giornata della Memoria organizzata a Latina e in contemporanea in 1000 altre località italiane.
C’era anche lei, Irene Carbone, una giovane donna che vive ad Aprilia e che, suo malgrado, ha dovuto conoscere quanto possono essere dolorose le mafie.
Ha sfilato insieme ad altri 10mila ragazzi che il 21 marzo hanno deciso di non andare a scuola per urlare che non hanno paura, che la mafia fa schifo e che ora ci sono loro, gli studenti, con l’entusiasmo di quell’età dell’innocenza che è l’unica speranza per la provincia pontina. Dopo il corteo, i momenti di riflessione e quegli 880 nomi delle vittime di tutte le mafie che sono stati pronunciati sul palco allestito in Piazza del Popolo, Irene Carbone ha parlato. Ma non ha voluto raccontare la storia di suo fratello, ucciso 12 anni fa a Locri. Non ha voluto soffermarsi su quel giovane che aveva solo 30 anni e che è stato ferito a morte al rientro da una partita di calcetto per aver amato la persona sbagliata, ma ha voluto spiegare ai ragazzi il senso della memoria. Irene, commossa, si è detta felice nel vedere tanti giovani, felice perché in una giornata così si è trasformata in un momento di commemorazione, parola che deriva dal latino e significa proprio ricordare insieme. Era commossa Irene e sul petto aveva la foto di suo fratello, quel giovane che oggi avrebbe quarant’anni e potrebbe godersi l’adolescenza di suo figlio.
Ma chi era Massimiliano?
Aveva 25 anni quando aveva cominciato a frequentare una donna più grande di lui e sposata. Tutti sapevano nel quartiere di quella storia, le visite frequenti in quella casa, solo e sempre quando il marito non c’era, erano più che una confessione. Eppure in pochi avevano capito che il bambino avuto dalla donna (non il suo primo figlio) era di Massimiliano. Lui avrebbe voluto fare il padre, ma lei non glielo avrebbe permesso. Il tempo passa, Massimiliano diventa presidente della cooperativa sociale Arcobaleno e s’impegna nel mondo del volontariato. Vede suo figlio crescere, lo osserva da lontano, lo incontra anche. Ha già cinque anni e gli assomiglia molto. Ma nulla cambia, finché decide di rivendicare la paternità del piccolo per via legale. Ma qualcuno non è d’accordo e la pratica viene archiviata nell’unico modo possibile in alcuni territori. È il 17 settembre del 2004 quando viene colpito da un cecchino. Potrebbe salvarsi, ma la situazione precipita e dopo pochi giorni muore. Ma ad oggi né il killer né i mandanti sono stati individuati.
C’era anche lei, Irene Carbone, una giovane donna che vive ad Aprilia e che, suo malgrado, ha dovuto conoscere quanto possono essere dolorose le mafie.
Ha sfilato insieme ad altri 10mila ragazzi che il 21 marzo hanno deciso di non andare a scuola per urlare che non hanno paura, che la mafia fa schifo e che ora ci sono loro, gli studenti, con l’entusiasmo di quell’età dell’innocenza che è l’unica speranza per la provincia pontina. Dopo il corteo, i momenti di riflessione e quegli 880 nomi delle vittime di tutte le mafie che sono stati pronunciati sul palco allestito in Piazza del Popolo, Irene Carbone ha parlato. Ma non ha voluto raccontare la storia di suo fratello, ucciso 12 anni fa a Locri. Non ha voluto soffermarsi su quel giovane che aveva solo 30 anni e che è stato ferito a morte al rientro da una partita di calcetto per aver amato la persona sbagliata, ma ha voluto spiegare ai ragazzi il senso della memoria. Irene, commossa, si è detta felice nel vedere tanti giovani, felice perché in una giornata così si è trasformata in un momento di commemorazione, parola che deriva dal latino e significa proprio ricordare insieme. Era commossa Irene e sul petto aveva la foto di suo fratello, quel giovane che oggi avrebbe quarant’anni e potrebbe godersi l’adolescenza di suo figlio.
Ma chi era Massimiliano?
Aveva 25 anni quando aveva cominciato a frequentare una donna più grande di lui e sposata. Tutti sapevano nel quartiere di quella storia, le visite frequenti in quella casa, solo e sempre quando il marito non c’era, erano più che una confessione. Eppure in pochi avevano capito che il bambino avuto dalla donna (non il suo primo figlio) era di Massimiliano. Lui avrebbe voluto fare il padre, ma lei non glielo avrebbe permesso. Il tempo passa, Massimiliano diventa presidente della cooperativa sociale Arcobaleno e s’impegna nel mondo del volontariato. Vede suo figlio crescere, lo osserva da lontano, lo incontra anche. Ha già cinque anni e gli assomiglia molto. Ma nulla cambia, finché decide di rivendicare la paternità del piccolo per via legale. Ma qualcuno non è d’accordo e la pratica viene archiviata nell’unico modo possibile in alcuni territori. È il 17 settembre del 2004 quando viene colpito da un cecchino. Potrebbe salvarsi, ma la situazione precipita e dopo pochi giorni muore. Ma ad oggi né il killer né i mandanti sono stati individuati.
24/03/2016